La passeggiata come forma letteraria militante

Uno dei maestri di Kafka e Musil, Canetti e Woolf è un personaggio fra i più appartati del panorama letterario di prima metà ‘900. Si tratta di un uomo vissuto a lungo per le statistiche di quei decenni, 78 anni: circa la seconda metà (1929/56) trascorsi in una casa di cura per malattie nervose.

Sono numerosi i dettagli che caratterizzano questa esistenza in esilio di Robert Walser: anzitutto, il tenersi appartato dalla società letteraria; scegliere i mestieri più diversi, alcuni decisamente improbabili – dall’impiegato di banca al maggiordomo, dall’assistente di uno scienziato al fattorino, dal cameriere al pittore e grafico, dall’impiegato di banca al segretario della Berliner Secession (importante gruppo di artisti e architetti a cavallo fra i due secoli); la grande quantità di opere scritte fra il 1903 e il ‘33; la passione per il camminare. La morte lo coglie proprio durante una passeggiata: il corpo viene ritrovato su un campo innevato il giorno di Natale 1956.

La produzione letteraria assai variegata si muove fra racconti, novelle, poesie, romanzi, diari, taccuini di viaggio.

Un ritratto di Robert Walser da giovane

La casa editrice Quodlibet ha meritoriamente ripubblicato una raccolta di racconti con alcune modifiche. In origine l’edizione del ‘61 rappresenta la prima apparizione dello scrittore svizzero in Italia: il traduttore è Aloisio Rendi, valido interprete della lingua tedesca e studioso accademico.

Di questa ormai storica pubblicazione vengono riprese due parti dedicate a piccole creazioni, sorta di miniature letterarie in cui Walser eccelle spesso nei trent’anni di creazione artistica. Si va dall’abile e perfida Lettera di Simon Tanner alla rappresentazione della vita in società di Una cena elegante – che dà il titolo al volume – passando per il ritratto dolce/amaro di un impiegato di nome Germer, una ragazzina dell’alta borghesia anni Dieci ne La piccola berlinese, la missiva all’insegna del “meglio non conoscermi”, in Lettera di un poeta.

La distanza dal conformismo che permea la società della belle époque, l’irrequietezza costante, il piacere del vagabondaggio colto, il cambiare mestiere segnano tanto la vita quotidiana di Walser, quanto la scrittura, i temi, i generi letterari praticati.

Il crisma dell’impossibilità di essere incasellato, sfuggire alle definizioni sono pietre miliari del procedere di questo tranquillo artista sradicato. Le radici avrebbe potuto averle: ma sceglie lui stesso di estirparle a forza dal terreno. Le strade del mondo devono essere a misura d’uomo, cioè di libertà.

I vent’anni di silenzio fra maturità, vecchiaia e morte sono segnati dal passeggiare come militanza artistica. La porta che viene presto chiusa sul mondo letterario e le piccole fughe fra boschi e campagna sono le tracce profonde di un’unica volontà: passare inosservato.

Perfino le sue carte sono vergate con grafia ardua da decifrare, tracce d’inchiostro che alludono a un’alterità. Come dire che Robert Walser è altrove e non gradisce farsi trovare da nessuno: colleghi scrittori, critici, pubblico, giornalisti.

Camminare diventa esercizio di scoperta di silenzi e spazi smisurati. Il Tempo viene dolcemente forzato: lo scrittore ama assentarsi anche per giornate e nottate intere. La sana “passeggiatina” borghese di un’ora o giù di lì non fa al caso suo – libertario che vagabonda rigorosamente da solo.

Ogni passeggiata è piena di apparizioni, degne di essere viste, degne di essere colte.

La vita difficile, fra lutti, spazi angusti in cui abitare, periodi di povertà, lavori umili, gli ultimi vent’anni in una struttura curativa sembra redenta più che dallo scrivere proprio dal lavorare con il proprio corpo spostandolo di continuo, in cerca di un orizzonte Altro. Percorre a piedi quasi mille chilometri da Bienne a Berlino, dall’anonima cittadina svizzera germanofona alla splendente capitale prussiana, uno dei fari della belle époque.

Fra le decine di racconti brevi di Una cena elegante spicca La storia di Helbing.

L’incipit misura la consapevolezza della propria insignificanza:

racconto qui la mia storia, da me, perché se no, probabilmente, non la scriverebbe nessuno.

Il protagonista è di statura media, viene considerato pigrone e sognatore, lontanissimo da qualsivoglia aspirazione di scalare la società. Non vuole distinguersi, ancora una volta passando inosservato; nella vita di Walser come nei personaggi di cui racconta.

In Helbing vi è qualcosa di “addormentato”; la mano con cui dovrebbe scrivere risulta “inerte”. Sembra una sorta di La vita è sogno aggiornata ai primi ‘900, dove le epifanie spagnole scivolano in un distacco mitteleuropeo.

L’aspirazione non è leggere ma assumere la postura del lettore, essere l’unico vivente al mondo, l’impressione di restare a letto in eterno. “La cosa più bella di tutte”, scrive.

Un inosservato, silenzioso, Oblomov postmoderno, cosciente dell’insensatezza nell’affannarsi ad alzare la testa in un mondo il cui senso si è smarrito per strada.