Lungo viaggio al centro dei cambiamenti climatici

Mentre Simon Mundy si arrampicava a piedi nudi lungo un pozzo fatiscente della miniera di cobalto “artigianale” nel sud della Repubblica Democratica del Congo, era fin troppo consapevole dei pericoli.

In quel luogo tanti uomini avevano perso la vita per un incendio o un crollo della miniera. Ora, alla base del pozzo, guidato da un minatore dilettante del posto chiamato Mangovo, il reporter 36enne del Financial Times strisciava a pancia in giù attraverso una piccola apertura. Ed eccolo il cobalto nero, per il quale ogni giorno circa 100mila minatori improvvisati congolesi rischiano la vita.

Serve per le batterie delle auto elettriche costruite in Cina. La morte di centinaia di persone è solo una conseguenza non intenzionale della spinta del pianeta a ridurre le emissioni inquinanti alla base del cambiamento climatico.

Gli effetti del climate change sulla vita delle persone

La discesa in una delle miniere non regolamentate più pericolose del Congo è solo uno dei tanti racconti straordinari che Simon Mundy ha raccolto nel suo libro, Sfida al futuro. Viaggio attraverso un mondo in lotta con la crisi climatica (HarperCollins, 460 pagg, 23 euro), che racconta quello che sta accadendo al nostro pianeta attraverso le storie degli uomini che già ne affrontano gli effetti.

Sono un reporter, non un attivista o uno scienziato, e in questo libro ho lasciato parlare le storie, o almeno ci ho provato”, spiega Simon Mundy nella postfazione, “di certo non mancano i libri che offrono modelli per affrontare la crisi climatica – alcuni eccellenti – e questo non vuole essere un testo del genere”.

Il libro di Mundy è il diario di un viaggio in tutto il mondo che, nell’arco di due anni, lo ha portato in 26 Paesi e in sei continenti alla ricerca degli effetti dei cambiamenti climatici sulla vita dell’uomo.

Un percorso straordinario, durante il quale ha incontrato, tra gli altri, gli abitanti dei villaggi sepolti dalle acque di un lago in Nepal e il capo delle Isole Salomone, il cui territorio è stato perso a causa dell’innalzamento del livello del mare, fino a uno scienziato anticonformista che costruisce una casa per mammut ingegnerizzati nel nord-est della Siberia.

Dal permafrost che si scioglie all’acqua alta a Venezia

L’idea di affrontare un’avventura così straordinaria, e cercare le storie che ancora non erano state raccontate, è nata nel 2016, durante una conversazione casuale con un amico. Dopo aver considerato che il mercato esistente dei libri sul cambiamento climatico è costituito per la maggior parte da studi scientifici o polemiche, Mundy ha deciso di tentare un approccio nuovo, basato sulla narrativa. “Volevo fare un libro che la gente avrebbe voluto leggere sulla spiaggia”, ha spiegato.

Il racconto di Mundy si apre in Siberia, dove è in corso una “corsa alle zanne” di mammut, che hanno un valore enorme e che ritornano alla luce man mano che il permafrost si scioglie.

Dopo aver seguito i cacciatori nelle loro missioni, eccolo in Nepal, e più precisamente sul Tsho Rolpa, un lago glaciale che si gonfia rapidamente grazie allo scioglimento dei ghiacci e minaccia di inondare un villaggio vicino chiamato Na Gaun. Mentre la gente del posto scappa dalle proprie case, una miriade di turisti arriva ad ammirare il lago che “divora i villaggi”.

A Uvs, nella Mongolia occidentale, Simon Mundy soggiorna in una “ger”, una tradizionale yurta mongola, con pastori che vivono quasi “come ai tempi di Gengis Khan”. Eppure gli inverni estremi ora minacciano il loro stile di vita che si tramanda da generazioni.

In Amazzonia ha trascorso del tempo con tre tribù impegnate a respingere l’invasione illegale nel loro territorio protetto da parte di allevatori che intendono distruggere vaste aree della foresta pluviale per allevare bestiame da utilizzare per fare hamburger di manzo, un’attività di per sé ad alto contenuto di carbonio.

Ma il suo viaggio lo ha portato anche in Europa e in Italia, a Venezia, devastata dall’acqua sempre più alta.

Un saggio contro il “doomismo”

Eppure, il messaggio alla base del libro non è pessimistico. Mentre registra la disuguaglianza, lo sfruttamento e la violenza causati dal cambiamento climatico, Sfida al futuro è anche carico di un senso di speranza.

La specie umana non si estinguerà a causa del cambiamento climatico”, scrive Mundy, “proprio come i nostri antenati preistorici sopravvissero alle trasformazioni ambientali fin dall’inizio della nostra storia evolutiva. Molti di noi reagiranno proprio come i primi esseri umani di fronte all’andirivieni delle glaciazioni: spostandosi”.

Certo, lo scenario non è rassicurante: “Al termine dell’ultima glaciazione, oltre diecimila anni fa, la popolazione mondiale contava al massimo qualche milione di individui, tutti cacciatori-raccoglitori”, scrive Mundy, “la densità abitativa era mille volte inferiore a quella di oggi; in altre parole, non esistevano terreni privati, confini nazionali, città, villaggi, nemmeno fattorie. I nostri antenati migrarono gradualmente nel corso di secoli, in risposta a un aumento della temperatura naturale e ciclico che procedeva a un decimo della velocità del riscaldamento di oggi causato dall’inquinamento”.

Tuttavia, l’autore spiega di aver voluto evitare quello che Michael Mann, lo scienziato del clima, ha battezzato “doomismo: la rassegnazione all’idea che il disastro climatico travolgente sia inevitabile.

È impossibile prevedere come andrà a finire la corsa”, scrive, “quel che è certo è che questa rimarrà la storia più grande e importante che io e qualsiasi altro giornalista della mia generazione avremo la possibilità di seguire. Ed è solo l’inizio”.