Italo Calvino, contadino riluttante ma ambientalista ante litteram

Su Italo Calvino è stato scritto tutto. Adesso però che si inaugura l’anno calviniano – il 15 ottobre cade il centenario della nascita – e che partono le celebrazioni, c’è ancora modo per approfondirne vene e radici.

Le suggerisce la prima mostra del 2023 sullo scrittore. Gliela dedica, aperta fino ad aprile, Andrea Kerbaker, che con la sua Kasa (e il Kapannone) dei libri, e con una invidiabile collezione di oltre 30.000 volumi, organizza regolarmente esposizioni con prime edizioni, copertine firmate, manifesti d’epoca, articoli di giornale…

Un dettaglio dell’allestimento della mostra “Calvino in Kasa”

In un angolo della Kasa, un barone rampante sotto forma di marionetta, agghindato con gli abiti settecenteschi di Cosimo descritti da Calvino, occhieggia dai rami di un albero. Sotto la pianta, fra le pagine in mostra, passeggiano formiche in zampe e antenne reali, che una visitatrice tenta invano di abbattere.

La presenza viva degli insetti è casuale (responsabile l’albero), ma forse non completamente. Lo scrittore non ancora trentenne pubblicò infatti nel 1952 La formica argentina, un racconto con protagonista e “nemico” la bestiola infestante, contro cui i diversi personaggi combattono invano con trappole, pesticidi, inutili stratagemmi. La formica argentina, però, è allo stesso tempo il titolo di un articolo – in mostra, come il racconto – pubblicato nel 1938. Si tratta di un pezzo scientifico e tratta di questa specie che, a inizio Novecento invase la Riviera Ligure, colpendo le coltivazioni di Sanremo. Lo pubblicò il Giardino fiorito, testata il cui direttore era Mario Calvino, papà di Italo, e segretaria di redazione mamma Eva.

Mario Calvino, dalle foto che si vedono nella mostra, appare uomo di severità ottocentesca, con una bazza vagamente mussoliniana, anche se la sua anima politica tendeva più all’anarchia (ma poi si iscrisse al fascio per insegnare all’Università di Torino). Di fatto, era un agronomo e botanico di chiara fama e aveva vissuto a lungo in America, prima in Messico e poi a Cuba (il primogenito Italo nasce all’Avana, e solo un paio d’anni dopo la famiglia torna in Italia), e in seguito aveva allestito a Sanremo una stazione di floricoltura ancora citata nei manuali.

La rivista “Il giardino segreto”

Il rapporto dei genitori con il figlio è difficile. Il padre in particolare è rigido, la mattina sveglia i bambini (il secondogenito è stato battezzato non a caso Floriano) presto per farli lavorare nei campi. La tesi sottostante la mostra della Kasa parte proprio da qui, dall’idea che “la narrativa di Calvino è tutta una ricostruzione di questa rottura con la famiglia, dove lui si vive sempre come l’adolescente ribelle che è stato”. Alter ego di quel Cosimo Piovasco di Rondò che a 12 anni molla la famiglia riunita a tavola per arrampicarsi sugli alberi e non più ridiscenderne.

Dal 1957 in cui uscì il romanzo lo scrittore – che si descriveva come la pecora nera di una famiglia di tutti scienziati: mamma botanica, papà agronomo, fratello geologo, persino gli zii e le zie chimici – avrà ancora meno di trent’anni per vivere e scrivere, morirà di ictus nel 1985.

Lavorando all’Einaudi, scriverà anche tanti risvolti di libri altrui, con il curioso dettaglio – fa notare Kerbaker – che fino a che Calvino non ha 50 anni queste presentazioni “mica gliele firmano, continua a essere sempre il ragazzo di bottega”.

Tornando però al Barone rampante, contemporaneamente all’inaugurazione della mostra è stato presentato un adattamento teatrale del Piccolo Teatro, diretto da Riccardo Frati, in scena fino al 5 febbraio.

Finora, finché è vissuta la vedova Chichita, scomparsa nel 2018, i diritti non erano mai stati ceduti: lo stesso Calvino ne aveva realizzato una messinscena poco fortunata negli anni Settanta con la regia di Armando Pugliese, quindi c’erano state occasionali letture, ma un vero e proprio spettacolo mancava. Frati per primo è riuscito a ottenere l’ok dalla figlia Giovanna.

I personaggi dello spettacolo “Il barone rampante” (foto®MasiarPasquali)

Come ha fatto? “Ho chiarito che Cosimo non avrebbe mai toccato le tavole del palcoscenico”. Tradotto: nel Barone rampante che si muove sul palcoscenico del Piccolo “onoriamo il romanzo”. Nessun tradimento o reinterpretazione quindi, ma una recitazione giocata su più livelli, fra palco e alberi, e la rappresentazione di “una dialettica verticale che è anche dialettica sociale, perché è da quando Cosimo inizia a vivere sugli alberi che comincia a interessarsi alla vita dei contadini, esce dal proprio giardino e prende a occuparsi della comunità”.

Ribadisce Claudio Longhi, direttore del Piccolo Teatro, che quella del libro è “una riflessione sull’Italia di oggi a partire dal suo passato, un modo per guardare la realtà con occhi diversi”. Gli occhi di chi nel distanziarsi migliora la vista, rende lo sguardo più penetrante.

Sia che si soffermi sul Settecento della Rivoluzione francese su cui volteggia il Barone, sia che punti il binocolo sul nostro futuro prossimo e anche sulla desertificazione (metaforica ma non solo) in arrivo, come osserva il fratello narratore Biagio guardando sconsolato le radure senza più alberi.

E a chi volesse approfondire il Calvino green, Kerbaker promette un incontro con Marco Balzano, che parlerà di quella vena ecologica che – pur nelle tensioni vissute con il padre – ha attraversato tutta l’opera dell’autore.