Che cosa bisogna sapere della nuova serie tv tratta da Elena Ferrante

Perde l’equilibrio e cade dal tavolo la borghesia. Per rappresentarla Edoardo De Angelis ha sempre bisogno di uno “scossone”, un momento che destabilizza tutte le certezze e da una posizione di sicurezza, costringe al ridicolo del pavimento. Gesto, farsa e presagio.

Così se in Sabato, domenica e lunedì (2021, disponibile su Raiplay) era Luigi Ianniello a precipitare dalla sedia prima di assaggiare il ragù, stavolta è Andrea/Alessandro Preziosi a cascare ne La vita bugiarda degli adulti (2023, serie disponibile su Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante).

Professore comunista del Vomero, con ormai alle spalle la periferia, la sua esistenza è stravolta dal ritorno della sorella Vittoria e dalla curiosità della figlia Giovanna per il passato. Una Partenope che si muove negli abissi torbidi per recuperare sul fondo ciò che più le è caro, la verità. E non importa che al posto della pinna caudale abbia un paio di calzini, con questa immagine De Angelis tenta di ricongiungere l’origine della storia con quella della città: per amore e solo con amore.

Alessandro Preziosi nella parte di Andrea. Cr. Eduardo Castaldo/Netflix © 2022

E per i più affezionati cultori della scrittrice senza volto, è facile recuperare quali siano i temi più cari delle sue opere legati a Napoli: la ricomparsa nei sobborghi (L’amore molesto), la ricerca di una donna diametralmente opposta – come se una parte della città per sopravvivere alla crisi sia costretta a cercare l’altra – l’avanzamento di classe (L’amica geniale) e una metropoli spaccata.

Pur mancando l’artificiosa polvere di Saverio Costanzo e la sensualità provocante di Anna Bonaiuto, immediatamente si ha la sensazione di trovarsi davanti a un già visto, un rimasticato plot di situazioni e personaggi con variazione di epoche.

È proprio la dualità narrativa su cui poggia l’intera opera di Elena Ferrante – e di conseguenza il piano registico di De Angelis – che appare come un modello ormai forzato e fin troppo abusato.

Va perduta la lezione di Luciano De Crescenzo che la città, come il suo ragù, cambi da quartiere a quartiere, per preparazione, ricetta e gusto, o quella di Giuseppe Marotta: “A Napoli ogni idea è una persona“.

Un frame della serie “La vita bugiarda degli adulti”. Cr. Eduardo Castaldo/Netflix © 2022

La narrazione con la Ferrante sembra imprigionata in un’alternanza di luce e ombra delle fiabe di Giambattista Basile. Del resto cosa manca a La vita bugiarda degli adulti per non essere un vero e proprio cunto? Cosa sono Vittoria/Valeria Golino e Giovanna/Giordana Marengo, due figure agli antipodi, nel loro continuo difendersi e tradirsi, camuffarsi e disvelarsi, se non la dicotomia della principessa Zoza e la schiava moresca?

Tutta la serie gira intorno al percorso tortuoso della crescita di Giovanna, per smascherare cunti e bugie degli adulti, tra malessere e voglia, timore e curiosità del sesso, e poi un segreto, una formula magica – “Quann si’ piccerella, ogni cosa te pare grossa. Quann si gross, ogni cosa t’pare niente” – due regni, il Vomero e via del Pianto, e soprattutto un oggetto magico: un bracciale, che cambia possessore e provenienza all’occorrenza di chi lo usa, ma non manca mai di rivelare delle verità inaspettate a chi lo detiene.

Lontano dal voler equiparare l’autrice allo scrittore barocco, ciò che risulta fuori misura è la ricerca di dualità da applicare ad una Napoli che diventa sempre più complicata, complessa. Non solo per uno schema perpetrato che non fa che restituire lo stesso scontro – tra l’alta zona residenziale e la bassa industriale, luce e ombra, crudeltà e purezza, stavolta chi prevarrà? – ma soprattutto perché l’impianto fiabesco può esclusivamente riflettere un’immobilità di tempi e spazi che poco si adattano a un romanzo o a una serie.

Sarà per questo motivo che De Angelis si preoccupa di ricostruire il contesto, i primi anni novanta, con una lunga e variegata scelta di brani musicali – Almamegretta, 99 Posse, concerti dei Massive Attack – e una maniacale cura di vestiti, oggetti e richiami politici, tanto che è giusto chiedersi se dopo La giunta di Alessandro Scippa (attualmente in sala) e Lotta continua di Tony Saccucci (serie disponibile su Raiplay), fosse proprio necessario un governo di estrema destra per ammettere che qualcuno era pure stato comunista.

 

De Angelis, da apprendista alchimista, insegue le immagini negli specchi opachi, riavvolge la natura magicamente con le sue onde, foglie e piogge, attraversa Napoli a bordo di macchine e motorini nelle ellissi che portano da Posillipo al Vomero, e dai centri sociali ai cimiteri, quasi a voler ribadire che questo mondo resta un Inferno immobile con i suoi gironi, e magari solo la collina più alta, il Vomero, può essere un Purgatorio salvifico, ma mai permanente. Centro e periferia – come detta il titolo per l’Unità scritto da Andrea – Un equilibrio precario sull’orlo del baratro.

Unica occasione per sopravvivere all’abisso è imparare a guardare, da insegnamento di Jean-Luc Godard: Saper vedere prima di saper leggere. E Giovanna si educa allo sdoppiamento di visione nel momento esatto in cui comunica di voler incontrare zia Vittoria: un occhio è maldestramente truccato dalla sua mano inesperta, mentre l’altro è definito dalla abilità adulta della madre Nella/Pina Turco.

L’esercizio stilistico di De Angelis non è assolutamente estraneo alla dualità dell’immagine a Napoli, e ogni autore la risolve a modo proprio: chi la disprezza e respinge (Antonio Capuano con La guerra di Mario), chi propone una terza via (Mario Martone con Nostalgia), chi gioca con i ruoli e poi distrugge la divisione (Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio).

Anche a De Angelis non dispiacerebbe annullare le separazioni, ma lo sguardo resta imprigionato nel suo stesso formalismo, nei colori e nella fotografia prestabiliti, nella rappresentazione statica di questi maschi eternamente assenti, violenti ed eccitati, senza mai riuscire a fondere il tutto, quando invece Napoli potrebbe essere raccontata esattamente come la spremuta d’arancia di zia Vittoria: un bicchiere completo di succo, polpa e semi da sputare.

Costringe a più riflessioni e bilanci la visione della serie La vita bugiarda degli adulti: è sempre possibile ridurre l’identità napoletana a un’eterna lotta fratricida e barocca, due anime che si amano e annullano, distruggono e compatiscono? Non è una rappresentazione ormai inapplicabile e statica alla complessa e dinamica eterogeneità che le appartiene?

De Angelis, dal canto suo, segue la traiettoria della trama e si mette in scia: non accelera, non tenta un sorpasso: l’importante per lui è restare in carreggiata e fare un buon compito, sicuramente migliore di Sabato, domenica e lunedì.

Ogni attenzione è riservata all’immagine di sé, come la stessa Giovanna: tutta la preoccupazione per un commento, una somiglianza da evitare, “sta facendo la faccia di zia Vittoria“. Ma quando Napoli si è interessata a come appare e non a com’è?