“Delle fiabe e delle sedie”, un’installazione a misura di racconto

La sedia di Mignolina è costruita dentro un guscio di noce. Quella di Jack e il fagiolo magico nasce da un vaso e – fatta con legni, midollino, rametti – sale fino al soffitto con una scala sempre più sottile.

La sedia Soldatino di stagno

C’è la sedia del Soldatino di stagno a grandezza naturale, abbigliata con una divisa e una gamba in meno, sostituita dalla piccola ballerina. Quella di Pollicino è fatta di carta con l’impronta di un pollice, così microscopica che per guardarla serve una lente, quella della Piccola fiammiferaia è tutta a base di fiammiferi svedesi. Non manca nemmeno quella di Peter Pan: dov’è? È la sedia che non c’è.

La sedia Sirenetta

Pensate e materialmente costruite dallo scenografo Marco Muzzolon, queste (e altre) sono le protagoniste della mostra Delle fiabe e delle sedie, dal 2 al 5 maggio all’Asilo Ciani all’interno del Mompracem festival a Lugano.

Bozzetto della sedia di Hansel e gretel

Ognuna è accompagnata da una spiegazione dell’autore sui materiali utilizzati e da un frammento della storia cui si ispirano, senza svelarla interamente: “Sta a chi guarda cercare di ricordarla tutta”, spiega Muzzolon. E aggiunge: “Ognuna ha una sua base quadrata con la terra, perché mi piace dare l’idea che le storie nascono dal basso, crescono e si modificano a seconda di chi racconta”.

E la sua idea da dove è nata?

“È una installazione che ho ideato molti anni fa e viene da un’idea molto semplice: che la fiaba si racconta, ma quando il narratore se ne va, lei in qualche modo resta incollata alla sedia. Io sono uno scenografo, e in teatro una delle prime cose che si fa è mettere le sedie sul palcoscenico, per le prime letture e poi le prime prove”.

Quindi tutto è partito dal teatro?

“Non solo. Nel 1965 l’artista americano Joseph Kosuth espone Una e tre sedie: nasce lì l’arte concettuale. Quanto al teatro, molto tempo fa rimasi colpito dallo spettacolo di Marco Baliani Kolhaas, che aveva come unica scenografia una sedia. Io ero un giovane allievo tecnico del Teatro Verdi e collaboravo con Baliani, così mettevo la sedia e poi le luci, quindi entrava lui e iniziava a raccontare”.

Com’era quella sedia?

“Ce l’ho ancora. Era una classica sedia da bar di Milano, marrone: era segnata con una X, per distinguerla in mezzo a una cinquantina che si trovavano nel locale”.

Come è arrivato dal teatro alla sua mostra?

“Quando mi chiesero di inventare una installazione per il Biblofestival di Dalmine immaginai di raccontare delle fiabe senza narratore, ma lasciando la storia depositata sulla sedia, e iniziai a costruirle. Al momento ne ho una quindicina, che suggeriscono, cercano di far ricordare, è il gioco del Chi sono?. A Stupinigi le ho messe in mostra dando ai visitatori le cuffie che li guidavano nei giardini alla ricerca delle sedie nascoste. Mentre in una biblioteca vicino a Milano i bambini venivano a vederle, poi nel pomeriggio ritornavano ed erano loro a raccontare le storie ai genitori o ai nonni”.

Lei ha lavorato per 25 anni come scenografo con il Teatro del Buratto. E adesso?

“Lavoro con diversi, come il Litta, i Grock… Nasco con il teatro ragazzi, ho sperimentato laboratori dove stavi anche venti giorni con i ragazzi per poi produrre uno spettacolo che andava in scena in spazi importanti, come il Ponchielli di Cremona o il Sociale di Como”.

Qual è l’elemento più importante nel teatro per ragazzi?

“L’ascolto. Si vedono a volte spettacoli presuntuosi: il fatto che siano complicati non significa che siano validi. Lavorare per i ragazzi secondo me vuol dire cercare di passare informazioni, immagini, situazioni non abbassandosi alla macchietta. E con i ragazzi si vede subito quando il messaggio è arrivato”.

Che cosa ha fatto, per esempio, di recente?

“Con Riccardo Colombini e Schedìa Teatro abbiamo fatto Sciopero! Ovvero quella volta che il lupo ha smesso di lavorare…, che in maggio partecipa a Milano al festival del teatro ragazzi Segnali. In scena c’è la sedia del lupo, lui però ha deciso di fare sciopero. Tutti nel mondo delle fiabe sono contenti, ma poi iniziano i problemi: le case dei porcellini aumentano a dismisura, Cappuccetto rosso finisce in ospedale a furia di mangiare torte… L’assenza del lupo rappresenta l’assenza del male necessario, per cui alla fine i bambini gli chiedono di tornare perché il problema non è eliminare il male ma riuscire a distinguere il bene e decidere da che parte stare, come difendersi. I bambini delle elementari che hanno assistito allo spettacolo lo hanno capito”.

Lei ha figli?

“No, ma ho due gatti. E soprattutto mi sento zio dei ragazzi che seguo come educatore, 12-17enni stranieri che arrivano da tutto il mondo. Molti non sanno l’italiano e le loro ingenuità linguistiche diventano anche momenti di gioco, come abbiamo fatto con lo ‘squalo banco’, dove abbiamo preso un vero banco e gli abbiamo fatto i denti e la pinna. Io propongo: proviamo a immaginare insieme? È faticoso, all’inizio spesso sono titubanti, però capisci che anche senza le parole bastano gli sguardi, riesci a ridere insieme e attraverso l’arte loro riescono poi a raccontarti”.