City on a hill, l’occasione sprecata.

Ma a Boston non aveva mai messo piede, né le era mai venuto in mente di farlo. Doveva essere una città di mare (ma a sud o a nord di New York?) e di lì, da un gruppo di patrioti tipo carbonari riuniti a prendere il tè, era partita l’idea di fare la guerra d’indipendenza contro gli inglesi, nel Settecento. Altro, su Boston, non le risultava. Henry James (uno scrittore di quelli che dovevi spingere come una bicicletta in salita) ci aveva fatto sopra un romanzo intitolato appunto “I bostoniani”, ma lei non l’aveva letto. Le pareva di ricordare che i bostoniani avessero una nomea di gente molto puritana e, per qualche ragione, molto snob; ma questo chissà quanto tempo fa, ormai doveva essere una città come tutte le altre, piena di negri e di grattacieli e con la solita, sterminata periferia di villette, complete di giardino e doppio garage. (Fruttero e Lucentini, La donna della domenica)

Non sono capace di pensare a Boston senza andare con la testa alla lite Dosio-Campi (si dice Boston, Baaast’n è come lo pronuncerebbe il Garrone), quindi mi sono perso la prima mezz’ora buona della serie di questa settimana, City on a hill, ambientata ovviamente a Boston, e son dovuto tornare indietro e guardarla di nuovo, questa volta capendoci un po’ di più. L’autore è Chuck MacLean, ma Showtime calca abbastanza la mano sul fatto che tra i produttori ci sia il fantastico duo Affleck-Damon. Ora, io davvero questa cosa non la capisco: separati, i due fanno cose davvero egregie. Per dire, Affleck ha vinto un Oscar come produttore per il suo bellissimo Argo (diretto da lui nel 2012); Matt Damon, invece, è stato fantastico in Invictus (bella forza, diretto da Clint Eastwood, 2009). Insieme, poi, come attori hanno fatto bella figura in Dogma (Kevin Smith. 1999). È quando cominciano a fare i fanatici, a scrivere e produrre, che comincio ad avere paura: ci basta pensare all’Oscar che hanno preso per la sceneggiatura di favoletta sciapa e prevedibile che è Will Hunting (Gus Van Sant, 1997). Insomma, i due, se non gli cionchi le manine sante, sono pericolosi. Bravi sono bravi, ma ignorano con pervicacia i loro limiti. Ora, non so quanto esattamente siano responsabili dei difetti di questa serie, ma sono sicuro che c’entrano qualcosa. Lo so, honni soit qui mal y pense, ma sono sicuro che i due provolini si siano prodigati in consigli non richesti al povero MacLean. Fatto sta che la serie soffre di evidenti difetti di sceneggiatura. E’ davvero troppo lunga, l’impressione è che la storia sia tirata per i capelli: si vede chiaramente un tentativo di ispirarsi a The Wire *(David Simon, 2002-2008), ma se te la vuoi giocare coi grandi ci devi mettere un po’ di impegno in più.

Dice, ma allora City on a hill è una schifezza? No, non lo è, ma francamente l’ho messa nelle mie seconde scelte, quando non ho voglia di pensare troppo. La storia ruota intorno alla strana coppia Jackie Rohr-DeCourcy Ward. Ward è un giovane e ambizioso sostituto procuratore nero interpretato da Aldis Hodge (Leverage) e Rohr, disinvolto (è un eufemismo) agente dell’FBI, è Kevin Bacon, che ha ormai completato la sua trasformazione in Eduardo De Filippo, tanto che quando arresta qualcuno resti sorpreso dal fatto che non si metta a urlare te piace o presebbio? Che la storia sia ambienta negli anni novanta appare chiaro soprattutto dalla varietà di abiti demodé che Bacon (anche lui tra i produttori, purtroppo) riesce a sfoggiare in ogni puntata. Io avrò contato almeno trecento tra cappottoni e impermeabili con le spalline. Cast di tutto rispetto ma decisamente sprecato (anzi, mal utilizzato), se pensiamo a James Renar che avrà in tutto dieci battute e tutte fessacchiotte, alla faccia di pietra di Kevin Chapman, a John Doman e perfino a quel grande caratterista che è John Doman in un ruolo talmente scontato che avrei potuto farlo anch’io. Insomma, City on a hill è un’occasione sprecata: un misto tra poliziesco e legal che non va da nessuna parte, buono per bercisi una birra e farsi due popcorn (cosa assolutamente da non disprezzare, sia chiaro), e se ogni tanto controllate le notifiche dei social non vi perdete moltissimo. Su Sky, possibilmente in lingua originale.

*Se non avete visto The Wire, allora procuratevi i DVD. In Italia la trovate solo su Sky, però solo doppiata in italiano, quindi per carità non ci provate nemmeno, la vita è già abbastanza triste di suo.