Cyrano si è tolto il nasone

Se siete cinici, disillusi o scettici blu, questa recensione non fa per voi. Perché qui si parla di un film spudoratamente, dannatamente, sfrenatamente romantico. Una pellicola che celebra l’amore e la difficoltà di riconoscerlo e di dichiararlo, che inneggia al potere della parola, che fa riflettere sull’eterno dilemma tra apparenza e sostanza.

Sto parlando di Cyrano, il nuovo film di Joe Wright (sì, quello di L’ora più buia, Anna Karenina, Orgoglio e pregiudizio: non proprio il primo che passa), che ha trasformato la celeberrima opera scritta da Edmond Rostand nel 1897 in un musical e una fiaba.

La storia è famosissima. Cyrano de Bergerac (Peter Dinklage), abilissimo con la parola come con la spada, è segretamente innamorato della sua più cara amica, la bella Roxanne (Haley Bennet), la quale è concupita dal perfido duca De Guiche (Ben Mendelsohn). Il duca vuole sposarla, ma lei si è innamorata a prima vista del cadetto Christian (Kelvin Harrison Jr.).

Peter Dinklage (Cyrano) e Bashir Salahuddin (nel ruolo di Le Bret)

Christian è bello, ma “non sa parlar d’amore”, come direbbe un noto cantante. A scrivere in sua vece lettere appassionate che conquisteranno definitivamente la bella Roxanne, affamata di poesia, sarà Cyrano, che potrà così esprimere per interposta persona il suo infinito amore per la fanciulla.

Fin qui la trama, portata sullo schermo molte volte. Ma mai in un modo così originale. Il film di Wright è innovativo e insolito per un paio di buoni motivi.

Prima di tutto per il protagonista. Abbiamo visto al cinema nei panni di Cyrano José Ferrer (che per quel ruolo vinse un Oscar nel 1950), Christopher Plummer, Gerard Depardieu, Kevin Kline, Steve Martin. Tutti erano attori di fascino che indossavano un nasone finto, il celebre difetto fisico che impedisce al poeta spadaccino di dichiarare il suo amore.

Questa volta non c’è nessun naso posticcio. Peter Dinklage ha un problema reale, vivo, nella sua carne: è un nano. Dinklage – reso famoso dal ruolo di Tyrion ne Il trono di spade, dove era non solo il più interessante della casata Lannister, ma il più bravo tra tutti gli interpreti della saga tv – è un attore straordinario, dotato di occhi che parlano, un viso dall’infinita gamma di espressioni, un cuore che sa battere al ritmo di dolore e rabbia, di disincanto e struggimento.

Si dimostra bravissimo anche in questo ruolo. Il suo problema fisico, poi, dà autenticità al suo dolore, al suo sentirsi inadeguato all’amore, in quel misto di ritrosia e di orgoglio di chi non vuole dichiarare i suoi sentimenti per non incorrere nel – secondo lui- inevitabile rifiuto. Le sue ultime parole, a Roxanne che gli chiede perché per anni non si sia rivelato come l’autore delle lettere, risponde: “Per orgoglio”.

L’interpretazione di Dinklage è superba, e sorprende che l’Academy – che spesso ha candidato attori assai meno validi solo per essere “politicamente corretta”- non lo abbia candidato all’Oscar come miglior attore.

L’altro elemento per cui il film “vale il viaggio” è la trasformazione dell’opera di Rostand in una fiaba, almeno per buona parte della pellicola.

È una fiaba intanto per il luogo. Non siamo più a Parigi nel Seicento, come da tradizione. L’intero film è stato girato (in pieno Covid) in Sicilia. La guarnigione dei cadetti è nel Castello Maniace, a Siracusa. La battaglia è quasi sulla cima dell’Etna innevato. La maggior parte del film invece è girata a Noto, magnifica città barocca del Ragusano, mostrata con colori pastello bianchi, grigi, rosa. Mai però si identifica la Sicilia, potrebbe essere ovunque e in nessun posto. È un luogo da “c’era una volta, in un paese lontano lontano…”.

Sembrano usciti da una fiaba anche i costumi, per i quali il fiorentino Massimo Cantini Parrini è candidato all’Oscar: interpretazioni moderne di abiti d’epoca, che ricordano un po’ lo stilista Alexander McQueen. Come pure la stanza di Roxanne. “È stato fatto in modo che Roxanne sembrasse ‘La principessa sul pisello’: il letto è gigantesco e ha otto o nove materassi” ha dichiarato l’arredatrice del film, Katie Spencer.

Haley Bennett nel ruolo di Roxane

Ad accrescere l’atmosfera romantica e fiabesca è anche la scelta di trasformare Cyrano in un musical. O meglio di adattare per il cinema il musical teatrale scritto da Erica Schmidt, la moglie di Peter Dinklage (che già aveva interpretato Cyrano in questo adattamento teatrale). Quando Roxanne-Haley Bennet svolazza per la stanza cantando sembra davvero uscita da un cartone Disney (e questo può essere un pregio o un difetto, a seconda dei punti di vista).

Le canzoni, opera del gruppo indie-rock The National, sono tutte eseguite dal vivo, e le inevitabili imperfezioni danno autenticità al tutto. Perfetto, ancora una volta, Dinklage (che in passato ha militato in una band punk), con la sua voce baritonale.

Non tutti i brani però sono memorabili, tanto che il più convincente è l’unico che non ha a che fare con la vicenda amorosa: Wherever I Fall, l’ultimo saluto dei cadetti di Cyrano prima di andare al sicuro massacro contro gli spagnoli, che nei tempi difficili che stiamo vivendo oggi suona ancora di più come un inno al pacifismo.

Ma a impedire che il fiabesco si trasformi in melassa ci pensano il dilemma eterno tra essere e apparire, tra forma e sostanza; il tema del diverso, che perde l’elemento caricaturale del nasone per acquistare la concretezza di un intero corpo; la complessità di un sentimento amoroso diviso tra aspetto, poesia, inadeguatezza, orgoglio, passione e struggimento. La fiaba a poco a poco si muta in dramma, con l’irrompere della guerra e il suo carico di assalti suicidi e di rovina, nel corpo e nello spirito, sino alla scena finale quando – troppo tardi – Cyrano rivela il suo amore a Roxanne.

Un cinico potrebbe scrivere una recensione opposta a questa, notando mille difetti o eccessi, e soprattutto come – e questo lo condivido – il pilastro che regge il film sia Peter Dinklage, che letteralmente giganteggia (detto senza alcuna ironia).

Senza di lui, la costruzione rischierebbe di franare come un castello di carte.

Ma, come ho detto all’inizio, questa non è una recensione per cinici. Girato nel cuore dell’emergenza Covid, Cyrano vuole essere un rimedio alla tristezza e un inno all’amore.

Come dice Joe Wright: “Avevo un’idea chiara di come realizzare il film… Sarebbe stato anarchico, una celebrazione irriverente della vita e una lettera d’amore all’amore stesso. Avremmo trasportato il pubblico in un luogo dove la vita era di nuovo bella… In tempi di crisi noi, come narratori, abbiamo la responsabilità di riunire la nostra comunità… E cercare di aiutarla a guarire. Lo facciamo usando il potere della nostra immaginazione per raccontare storie di verità emotiva. Per offrire loro luce quando il mondo sembra impenetrabilmente buio. Offrire un luogo per connettersi alle loro emozioni e un canale per esprimerle. Un luogo di bellezza, forse di bellezza in un mondo brutto. Un luogo senza cinismo o sarcasmo. Un luogo di amore e compassione”.

Se lo accogliete con questo spirito, ne sarete conquistati e travolti, come un adolescente al primo amore.

Per quanto mi riguarda, sono uscito dalla proiezione carico di sentimenti positivi. Avevo voglia di tornare ai miei sedici anni e passare tutto il pomeriggio su una panchina del parco a baciare la mia bella, dicendole quanto la amo.

Di questi tempi, scusate se è poco.