Prima è diventato un format tv (andato in onda su Laeffe nel 2014, poco dopo l’uscita in libreria), quindi un film con un titolo praticamente identico, a parte l’esclusione del “per” – Dieci minuti e basta – diretto da Maria Sole Tognazzi e interpretato da Barbara Ronchi, in uscita al cinema il 25 gennaio.
Il romanzo dichiaratamente semi-autobiografico di Chiara Gamberale ha completato così la parabola di un successo sempre più raro: quanti libri ormai vendono un numero di copie a 5 zeri?
La trama del romanzo
La storia è semplice e direbbero le giovani attrici americane “ispirazionale”. Due buone ragioni per spiegarne la grande popolarità fra il pubblico femminile.
La protagonista, che si chiama Chiara non a caso, è una giovane donna cui all’improvviso – e contemporaneamente – vengono a mancare le due certezze sulle quali ha basato la sua vita: l’uomo che conosce fin da ragazzina e che, dieci anni prima, è diventato suo marito, e il lavoro, nello specifico una rubrica, intitolata Pranzi della domenica che la portava ogni settimana “a pranzare con una famiglia normalissima o assurda” per raccontarla su un settimanale.
Il “Marito” (così lo scrive Gamberale nel libro, con il maiuscolo) dopo aver insistito per lasciare il paesello dove entrambi vivevano vicino alla famiglia di lei e trasferirsi a Roma, scompare dalla sua vita. Durante un master a Dublino la chiama e le annuncia il suo mancato ritorno. Poche parole: “Stava bene e se non l’avessi più sentito non dovevo preoccuparmi”.
Dalle premesse al gioco dei 10 minuti
Alle prese con una vita un tempo sicura e ordinata, adesso ridotta a “una massa informe, sfilacciata, ferita”, Chiara fa quello che fanno la maggior parte delle persone in una situazione del genere: riversa il suo senso di smarrimento sui tanti o pochi “sciagurati” che le orbitano intorno: parenti e amici.
E, nel suo caso, anche sulla psicologa che ogni settimana tortura con la stessa domanda (retorica perché nella sua testa la risposta splende come l’insegna di un casinò a Las Vegas): “Che ci sto fare io al mondo?”.
Siamo solo alle premesse. Quello che segue è il racconto del gioco dei dieci minuti del titolo che la terapista le propone di mettere in atto per un mese (Gamberale ha spiegato di averlo fatto per davvero): dedicare almeno 10 minuti al giorno a qualcosa mai sperimentato prima. Che, poi, non è altro che una sorta di cura omeopatica contro la paura del cambiamento.
Tutte le prime volte
Dallo smalto fucsia con i brillantini – uno shock per una come lei che al massimo si era concessa il nero – a una mini lezione di violino, alla preparazione casalinga dei pancake, a un giretto su YouPorn, il libro procede come un diario, ogni capitolo dedicato a un nuovo esperimento insieme a riflessioni sul passato e sul presente.
Nel mentre, la scoperta lenta ma inarrestabile che quello di cui aveva scritto per anni, le famiglie “assurde” che aveva incontrato mentre lei si crogiolava nella tana con suo Marito, possono davvero “salvarci”. Che è quello che accade a lei e ad Ato, un ragazzino arrivato dall’Eritrea con il quale si sviluppa man mano un rapporto di conforto reciproco. Non tanto simil materno, quanto simil fraterno.
Effetto imitazione
Non è dato sapere quanti leggendo il libro non abbiano resistito alla tentazione di provare il gioco dei 10 minuti ma c’è da scommetterci che siano in tanti.
Io stessa senza neppure volerlo ho cominciato a pensare a una lista di cose da provare per la prima volta. E mi sono chiesta se essendo il primo libro di Chiara Gamberale che ho mai letto e il primo film tratto da un romanzo di Chiara Gamberale che ho mai visto possa già aver superato le prime due prove.
Temo, però, che la psicologa direbbe che sto barando.