Dio salvi i fotografi della regina

La regina Elisabetta II non ha mai rilasciato un’intervista nei suoi 96 anni di vita e 70 di regno.

In compenso, si è spesso concessa all’obiettivo della macchina fotografica per scatti realizzati in occasioni ufficiali a anche più informali (si fa per dire).

Ritratto di regina, il documentario di Fabrizio Ferri – per chi non lo sapesse di professione fotografo – appena uscito al cinema, racconta l’ex sovrana attraverso le voci di chi ha avuto l’incarico, non facile, di scattare quelle immagini nell’arco dei decenni.

Il fotografo e regista Fabrizio Ferri

Un’idea di Paola Calvetti, autrice anche del soggetto e della sceneggiatura, che, alla regina, ha dedicato una biografia, Elisabetta II. Ritratto di Regina, uscito quest’anno.

Ferri monta interviste a persone “normali” che esprimono le loro impressioni da sudditi di sua maestà, alternate al racconto di testimonial d’eccezione come Isabella Rossellini e Susan Sarandon.

L’attrice di Thelma & Louise, per esempio, racconta i suoi dubbi di etichetta in occasione dell’incontro con la sovrana: “Mi avevano detto: ‘Non inchinarti, assolutamente non farlo, è fuori moda’. Il problema è che quando è arrivato il momento, lei era seduta e io in piedi. Per stringerle la mano ho dovuto piegare le ginocchia per forza. Così, quello che si vede nella foto scattata per l’occasione, nonostante i miei sforzi, ha tutta l’apparenza di un inchino”.

Ma la parte più interessante del documentario è rappresentata proprio dalle testimonianze dei fotografi. Affidate, nel caso di quelli che non sono più fra di noi, alla voce narrante di Charles Dance, ovvero il sanguinario re Tywin Lannister della serie Il trono di spade.

Il poster del documentario “Ritratto di regina”

In questo modo, veniamo a conoscenza delle sensazioni e delle impressioni di Marcus Adams che ritrasse Elisabetta giovanissima e ancora principessa, e di Cecil Beaton, mostro sacro della fotografia britannica che è stato anche l’autore delle immagini ufficiali dell’incoronazione. Nonché di Tony Armstrong-Jones, fotografo e cognato della regina, in seguito “promosso” Lord Snowdon.

Venendo a tempi più recenti, parlano in prima persona i ritrattisti Brian Aris, David Montgomery, John Swannell e Chris Levine, autore del noto scatto della regina a occhi chiusi.

Tutti sono accomunati dallo stesso “problema”. Ovvero: se di solito sono i fotografi a dover tranquillizzare e mettere o loro agio le persone che ritraggono, quando si tratta di fotografare la regina, ad aver bisogno di essere tranquillizzati sono loro.

Come racconta Brian Aris, incaricato delle foto ufficiali per il settantesimo compleanno di Elisabetta II: “Nel momento in cui ho realizzato che c’eravamo solo lei, il mio assistente e io, ho cominciato a essere nervoso”.

Un’altra causa di preoccupazione comune è il fatto che, considerati i limiti di un protocollo piuttosto rigido, trovare un modo per scattare con un taglio innovativo uno dei soggetti più fotografati del secolo è impresa ardua.

Tanto più che il soggetto in questione ha tutti i privilegi per non collaborare.

Come racconta John Swannell: “La prima volta che fui incaricato di realizzare un servizio fotografico di Elisabetta II, dopo alcuni scatti, le chiesi: ‘Può accennare un sorriso?’. Ma lei non lo fece, senza aggiungere una parola. Finii il rullino, ne iniziai uno nuovo e le feci la stessa richiesta. Nulla: la regina non sorrise e non mi rivolse la parola. Infine, al terzo tentativo, un suo assistente si avvicinò e mi sussurrò in un orecchio: ‘Sua maestà non sorride a comando, sorride solo quando vuole’. Fine delle richieste”.

La regina in uno scatto del 1980 (CAMERA PRESS/ Richard Slade)

Andò, invece, meglio a David Montgomery, incaricato dall’Observer magazine di realizzare un servizio sulla regina che ne mostrasse il lato più “di tutti i giorni”.

Racconta: “Quando mi proposero di realizzare questi scatti la mia prima risposta fu ‘no’. ‘Se qualcosa andasse storto potrebbe essere la fine della mia carriera’, pensai“. Fortuna che, tornato a casa, sua moglie gli fece cambiare idea. “Mi disse che ero un pazzo a non accettare. E così richiamai e mi resi disponibile”.

Nel castello di Balmoral in Scozia, a quanto si dice la residenza preferita da Elisabetta II, Montgomery ebbe il classico colpo di fortuna.

Per prima cosa le chiesi dove amasse passare la maggior parte del tempo e lei mi indicò un caminetto”. Solo che al posto del fuoco, dentro c’era una stufetta elettrica da poche sterline. Un contrasto quello tra la regalità del soggetto e l’umiltà del sistema di riscaldamento che rese quella fotografia celebre. Almeno quanto la seconda “rubata” che Montgomery scattò quello stesso giorno mentre Elisabetta II saliva le scale per andarsi a cambiare d’abito, saltellando sulle scale due gradini alla volta “come una quattordicenne”.