Il mistero e l’eleganza di Felice Casorati

La Fondazione Magnani-Rocca, nella campagna di Mamiano di Traversetolo, pochi chilometri da Parma, appare sempre come una sorta di visione cui si arriva tra stradine di campagna.

Qui l’artista e collezionista Luigi Magnani (1906-1984), cultore delle arti e dell’art-de-vivre, ha creato quella che molti definiscono “la villa delle meraviglie” per la ricchezza e qualità delle opere d’arte che custodisce.

Merita, da sola, un viaggio e lo merita ancora di più in questo periodo quando si può affiancare al percorso guidato nella residenza anche la visita alla mostra temporanea (fino al 2 luglio) dedicata a Felice Casorati (1883-1963), tra i grandi maestri del Novecento italiano, capace di sedurre con il suo stile ieratico, sospeso.

Dal debutto alla Biennale agli ultimi lavori

Quella allestita alla Magnani è una mostra, curata con passione da Giorgia Bertolino, Daniela Ferrari e Stefano Roffi (quest’ultimo è direttore scientifico della Fondazione e “custode” dei tesori della villa), che permette di conoscere il lavoro di Casorati nella sua completezza. Scandita in ordine cronologico, composta da una ottantina di opere, si apre con Ritratto della sorella Elvira, che segna il debutto alla Biennale di Venezia del 1907 del pittore e si chiude sugli ultimissimi lavori.

Le signorine (1912) di Felice Casorati

Il sottotitolo dell’esposizione – Il concerto della pittura –  è il fil rouge che guida il percorso della mostra, volto a sottolineare la passione di Casorati per le note.

Un amore che lo stesso artista piemontese aveva in vita ricordato più volte e che venne fermato solo a causa della salute cagionevole, già nell’adolescenza. Il medico di famiglia consigliò allora ai genitori di Casorati di acquistare una scatola di colori e dei pennelli e da allora – sono parole dello stesso protagonista della storia – “il demone della pittura non mi lasciò più”.

Il demone di Casorati

Noi lo inseguiamo con piacere, questo demone. All’inizio della mostra strizza l’occhio ai modelli raffinati della Secessione Viennese e predilige i toni scuri poi, nel 1912, ragiona sulla luce.

Lo vediamo bene in una tela che è posta in uno snodo centrale del percorso espositivo: Le signorine, delizioso ritratto campestre al femminile di cui andrebbe osservato da vicino ogni minimo dettaglio (dagli oggetti e prodotti di bellezza in terra ai fiori, per non parlare dell’espressione enigmatica delle donne ritratte).

Casorati comincia così a diventare il Casorati che conosceremo: raffinato, elegante, misterioso. Procediamo nella sala successiva e ci immergiamo nella stagione degli anni Venti, quando il richiamo del “Ritorno all’ordine” porta nell’arte europea una nuova classicità.

Silvana Cenni di Felice Casorati (1922)

Ed eccoci davanti a un capolavoro assoluto (che avremmo preferito vedere al centro della sala, anziché in posizione defilata): è la grandiosa Silvana Cenni del 1922, esplicito omaggio a Piero della Francesca, un ritratto di silente immobilità, in cui la figura femminile appare indecifrabile e congelata. Tutto, nel dipinto, è realistico eppure tutto ci appare così strano e inquietante.

Passeggiando tra i capolavori

Di fronte, dall’altro lato della sala, un altro capolavoro: è Beethoven (un dipinto del 1928, in prestito dal Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto che collabora alla realizzazione della mostra). Qui ritroviamo tutta la passione di Casorati per la musica e, chissà, il suo struggimento per non aver potuto proseguire nello studio.

“Beethoven” (1928) di Felice Casorati

Serve del tempo per “digerire” le immagini che Felice Casorati ci regala e che qui alla Magnani vediamo riunite in grande abbondanza, inclusi i tanti disegni e bozzetti che realizzò, come scenografo, per i teatri più importanti, compresa La Scala di Milano.

Uova e relax

Qualcuno noterà che tutto il percorso espositivo è punteggiato da uova: la natura morta è un genere che Casorati amava e che diceva praticare “per rilassarsi”, perché gli dava sicurezza.

Ecco, queste numerose uova che troviamo alle pareti, alcune bianche, altre azzurre altre ancora verdi nella loro forma perfetta eppur fragile sono il simbolo della sua arte, così apparentemente elegante e sicura eppure profondamente irrisolta, inquieta.

Come capita per tutti i grandi della storia dell’arte, si esce dalla mostra di Felice Casorati con più domande che risposte, e va bene così.