Il viaggio di Riccardo Milani sulle tracce di Gigi Riva

Ha trovato l’orso. A Riccardo Milani mancava il respiro delle montagne. Non che abbia disprezzato il successo al box office, il romacentrismo delle commedie e i remake francesi, ma dopo quindici anni di nuovo corso dopo Piano, solo (2007), ha avuto nostalgia dello sguardo dagli altopiani abruzzesi, la luce dell’“erbal fiume silente” de I pastori di D’Annunzio, la libertà di ascoltare I Cugini di Campagna (Auguri professore, 1997) o di perdersi (Il posto dell’anima, 2003).

La “caccia” in Barbagia

È Luigi Riva, che tutti chiaman Gigi, l’orso marsicano che Milani cercava da anni, inseguito nei film e protagonista del suo nuovo documentario, Nel nostro cielo un rombo di tuono (2022, finalmente visibile su Sky): temperamento selvaggio, cacciatore solitario in area di rigore, poche parole e preferenza degli orari notturni.

Così per raccontare l’attaccante che portò il Cagliari prima in serie A e poi alla vittoria dello scudetto, uno degli ultimi eroi del calcio italiano, – giggirrìva per fonetica sarda, con trascrizione di Gigi Garanzini, Gigione per Sandro Mazzola, Rombo di Tuono per battesimo di Gianni Brera, a voi la scelta –  il regista attraversa la Barbagia, nella remota Sardegna, lontana dalle aggressioni turistiche, per arrivare alla riscoperta di un’umanità analogica, smarrita ormai nel digitale.

Perché l’isola dove atterra Gigi Riva, per il campionato ’63-64, non solo è ancora la terra degli ultimi di Antonio Gramsci, raccontata nelle pagine di Emilio Lussu, dei contadini strappati dai campi fertili di Ottana per diventare operai a Milano, ma è depositaria di un certo tipo di discrezione e silenzio – che forse anche Raoul Ruiz avrebbe menzionato in Palombella rossa – riluttante agli ordini caduti dall’alto, che non ci sta più ad essere insultata come terra di pecorai, banditi e sequestratori.

È un mondo dove le partite si vedono sui pini marittimi fuori allo Stadio Amsicora, e per i più fortunati ci sono maialetto e bottiglia di Cannonau sugli spalti. Per i più audaci e fedeli le trasferte in traghetto, con le bandiere rossoblù a coprire l’intero ponte.

Tutte le testimonianze

È una terra che ha sofferto e ha voglia di cambiare pagina e provare gioia, ma restando fedele a sé stessa, esattamente come Gigi Riva: orfano di entrambi i genitori, dopo un’infanzia passata a fuggire dai collegi per correre al campo di calcio dell’oratorio, conserva una voglia strana in fondo al cuore, più simile a una frattura che a un dolore.

Uno strappo che arrivato a Cagliari trova conforto nella squadra, una nuova famiglia, amici, e per la gente comune diventa un supereroe, una rivincita, un motivo di orgoglio.

Un frame del documentario “Nel nostro cielo un rombo di tuono” su Gigi Riva

È per questo che Milani apre l’inquadratura senza disuguaglianze, garantendo: c’è posto per tutti. Che ci sia il figlio del presidente del Cagliari o di un pescatore, non fa differenza. Come per scrittori e poeti, giornalisti ed ex compagni di squadra, o semplici avventori del bar, emigrati in Germania, che dopo più di trent’anni di lavoro sono finalmente tornati casa.

La coerenza di Gigi Riva

La macchina da presa registra ogni testimonianza, comprese le lettere dei tifosi, scritte su carta ormai ingiallita, piene di rimedi naturali, auguri e amore, con la maiuscola. Perché Gigi Riva appartiene a tutti, indistintamente.

Terzo vessillo sardo dopo Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer, anche ricevendo numerose proposte da club più importanti – neanche Gianni Agnelli riuscì nell’impresa – non ha più lasciato la Sardegna.

E non solo perché le radici del suo paese di nascita, Leggiuno, sono recise, o per il carattere schivo che si trova più a suo agio in una terra selvaggia, no, Gigi Riva sceglie di restare per rispondere alla propria coerenza, di uomo e giocatore: si può incarnare il massimo della prestazione (segnando a ripetizione, senza pregiudicare la modernità della tecnica, di testa o in rovesciata, in velocità, preferendo il sinistro) e del risultato (record di 35 gol con la nazionale) ma continuare a essere fedeli alle proprie convinzioni.

La scelta di stare in penombra

Si può vincere anche senza le squadre più grandi in campo economico e manageriale, non lasciando da soli i più piccoli. Una filosofia che inizia ad affinarsi grazie all’allenatore del Cagliari, Manlio Scopigno, così anticonformista da innervosirsi solo a sentirsela affibbiata come etichetta.

Un intellettuale prestato al calcio che amava le interviste con Luciano Bianciardi, un uomo di sport convinto che la disciplina del corpo si basi soprattutto sull’autocontrollo dell’atleta, che la squadra debba essere un ambiente di fiducia, e mai di oppressione. Lasciando anche qualche libertà per whiskey e sigarette notturne.

E mentre il ritratto di Gigi Riva si delinea con lo scorrere dei minuti, Milani con cura si preoccupa di curarne l’inquadratura, rispettando la sua riservatezza: siede in poltrona dando le spalle, una chioma bianca che si rifugia nell’osservazione di un camino spento, e quando la macchina da presa si accosta per inquadrarlo, quasi in controluce, il volto sa guadagnarsi la penombra.

Gigi Riva oggi

Disperde i suoi lineamenti, addestrato alla timidezza, anche grazie alla sua sigaretta: come un eroe dei fumetti, il fumo sospeso nell’aria diventa il baloon in attesa di una risposta, ma il più delle volte resta uno spazio libero, dove i ricordi e le idee hanno possibilità di muoversi dietro gli occhi.

Eppure Nel nostro cielo un rombo di tuono, nell’ambizione di restituire la grandezza di Riva, non si limita ad attraversare il passato, ma sa incastonarlo nella dimensione presente e futura, anche grazie alle testimonianze di Gianluigi Buffon, Gianfranco Zola e Nicolò Barella, e raccontarlo a livello internazionale.

Una storia epica

Dopo la partita del secolo, Italia – Germania 4 a 3, per Messico 1970, il sogno della coppa del mondo si interrompe proprio nella finale contro il Brasile. Ma non sarà certo Pelè a sottostimare la portata dell’impresa di Riva, anche negli anni successivi: come dirigente di raccordo tra la nazionale italiana e la Federazione, accompagnerà la Nazionale dal 1990 fino al primo posto nei mondiali di Berlino 2006.

Due ore e trenta minuti sembra un tempo interminabile, eppure per Nel nostro cielo un rombo di tuono è una durata più che giusta per raccogliere l’epica e lo stupore di un uomo che, seduto nella sua poltrona come Le Penseur di Auguste Rodin, non manca ancora di far emozionare e riflettere sul destino degli uomini e le sfide future.

Una caccia a questo orso marsicano che, pur immobile, continua a voler essere sfuggente alla voracità del presente, tra social network e condivisione del privato.

Un ritratto memorabile che una volta finita la prima visione si lascerà riguardare con piacere, ancora e ancora. E per Riccardo Milani una sfida vinta, esaudendo un desiderio nato su un quaderno di scuola tanti anni prima.