La grande bellezza dell’arte del riciclo

La mostra di arte antica di cui tutti parlano in questo periodo è allestita negli spazi razionali della Fondazione Prada di Milano, “tempio” dell’arte contemporanea che ha contribuito a rigenerare una zona del capoluogo lombardo, quella dello Scalo Porta Romana, fino a pochi anni fa punteggiata solo di capannoni.

Ebbene, qui, nell’ampio museo fortemente voluto da Miuccia Prada, la cui torre dorata realizzata dall’archistar Rem Koolhaas è diventato uno dei #placetosee della città, fino al prossimo 27 febbraio è allestita una mostra straordinaria, per numero e qualità di pezzi, e per l’idea che la sostiene.

Dai greci fino al Medioevo e al Barocco

Una mostra che parla di arte antica, dal Medioevo al Barocco, attraverso i “ricicloni” che in quei secoli sono stati fatti saccheggiando opere ancora più datate, greche e romane. La tesi di fondo: il riciclo è parte della bellezza, ogni opera d’arte è frutto di feconde stratificazioni, di piccole storie nella Grande Storia.

Ci voleva la mente geniale di un curatore come Salvatore Settis per mettere in piedi questo Recycling Beauty, concepita insieme ad Anna Anguissola e Denise La Monica, con un progetto allestitivo dello stesso Koolhaas che, per l’occasione, si è inventato una serie di scrivanie, con tanto di sedie su cui sedersi per poter osservare da vicino gli antichi pezzi esposti, in una prospettiva più domestica che museale.

Ha spiegato Settis: “Recycling Beauty intende focalizzare l’attenzione sul momento in cui il pezzo antico abbandona la propria condizione iniziale e viene riattivato, acquisendo nuovo senso e valore grazie al gesto del riuso. Esplorare la natura fluida e molteplice degli oggetti d’arte che nel tempo cambiano utilizzo, ricezione ed interpretazione equivale a riflettere sulla natura instabile e trasformativa dei processi artistici“.  Seducente, vero?

Un collage di capolavori dal Louvre agli Uffizi

Negli spazi del Podium e delle Cisterne di Fondazione Prada visitiamo una mostra di arte antica come fosse contemporanea e prendiamo consapevolezza dell’importanza dei frammenti, capaci nei secoli, per assemblaggio, di dare vita a opere d’arte nuove.

Con pezzi provenienti dal Louvre, dai Capitolini, dai Vaticani, da Galleria Borghese, dagli Uffizi, dall’Archeologico di Napoli, dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, dal Kunsthistorisches di Vienna, questa mostra è una vera gioia per gli occhi.

Sono esposti capolavori assoluti come Leone che azzanna un cavallo, gruppo ellenistico di struggente bellezza collocato nel Medioevo sul Campidoglio come allegoria del buon governo, la stele del Palestrita, con un atleta e un efebo di fattura classica greca a lungo tagliata in due e ricomposta solo a metà degli anni Cinquanta del Novecento, il bronzo Camillus del primo secolo dopo Cristo e poi ancora il Trono di Virgilio, del secondo secolo, recuperato da una seduta dedicata a Dioniso di cento anni precedente, la Testa Carafa di Donatello, realizzata nel Quattrocento dal maestro per l’arco di Castelnuovo a Napoli e fino a due decenni fa ritenuta una testa di cavallo di età  greco-romana, per non parlare della Tazza Farnese, manufatto ellenistico straordinario per materiale, tecnica e dimensioni, il più grande cammeo in pietra dura dell’antica, sopravvissuto fino a noi quasi per caso, passando di corte in corte, da quella di Federico II a quella di Lorenzo il Magnifico.

Distruggere e ricreare

Salvatore Settis, a proposito del senso di questo progetto espositivo, ha citato una riflessione dl filosofo Walter Benjamin: “Non esiste documento di civiltà che non sia al tempo stesso documento di barbarie“.

In effetti – e il suggerimento è di leggere le corpose didascalie in mostra – a studiarli oggi, certi interventi sfiorano persino il grottesco, come nel caso del sepolcro medievale del beato Guido ottenuto dal reimpiego di un sarcofago dionisiaco del II secolo a.C. per non dire del cratere dionisiaco dell’ateniese Salpion riutilizzato come fonte battesimale per la Cattedrale di Gaeta e della seduta da latrina di età romana imperiale sfruttata per le incoronazioni papali.

Su tutto, svetta – e non solo in senso letterale – il fiore all’occhiello di questa mostra probabilmente irripetibile: negli ampi spazi della Cisterna sono esposti due giganteschi resti (una mano e un piede) del colosso di Costantino che di solito si possono ammirare nel cortile del Palazzo dei Conservatori, a Roma.

Per la prima volta, sotto la guida attenta del sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce, si è tentato l’impensabile: la ricostruzione fedele, in scala uno a uno, con calchi dei frammenti integrati all’occorrenza, della monumentale scultura.

L’ “effetto wow” qui è assicurato: la sala vale da sola il biglietto d’ingresso.