Il suo primo film, uscito ormai trent’anni fa, era un musical, Ballroom – Gara di ballo, che fu presentato al Festival di Cannes. Festival, dove il regista Baz Luhrmann è tornato quest’anno – fuori concorso – con Elvis, biopic su Presley, nei cinema dal 22 giugno.
Nel ruolo del protagonista il giovane attore, semi sconosciuto, Austin Butler, in quello del suo manager, il colonnello Tom Parker, Tom Hanks. Il loro rapporto è il motore che muove la storia: la relazione “tossica” fra un ragazzo pieno di talento e lo scaltro, cinico personaggio che lo ha reso un mito a costo di distruggerne le vita.
Perché ha scelto di raccontare Elvis attraverso il rapporto con il suo manager?
Prendiamo Amadeus, il film di Miloš Forman: parla di Mozart o dell’invidia? Il colonnello Tom Parker, nell’immaginario collettivo, è il bad guy. Nel film non c’è questa scena, ma quando Parker ricevette la telefonata in cui gli si annunciava la morte di Presley, la sua prima reazione fu: “Facciamo subito uscire più copie dei dischi!”. Uno pensa: “Chi se non una persona orribile può dire una cosa del genere?”. Ma chi se non il pubblico chiedeva più copie? Tutti amiamo i nostri idoli: vogliamo un altro album, un altro film…. Quindi, con chi ce la dovremmo prendere? Con questo film non intendevo difenderlo ma sollevare domande.
Di che tipo?
Parker era un imbroglione, capace di raggirare le persone, sfruttando la loro creduloneria. Il fatto è che, per natura, gli esseri umani hanno bisogno di credere a grandi menzogne. Sappiamo che si tratta di bugie, ma ci fanno stare bene. E questo non è un problema quando parliamo di show, di intrattenimento. Ma lo diventa nella vita reale. Quando quelle grandi bugie riguardano, per esempio, una pandemia.
Il suo primo ricordo di Elvis Presley?
Sono cresciuto in un piccolo centro in mezzo alla campagna australiana. Mio padre gestiva la stazione di servizio del posto e in paese c’era una sala cinematografica che ogni domenica organizzava la serata Elvis. Proiettavano i suoi film, non è che fossero dei capolavori, ma ricordo di aver pensato che fosse un tipo figo. All’epoca, vedevamo solo la TV inglese e alcuni canali americani. E gli Stati Uniti mi affascinavano, per uno nato in una cittadina sperduta, New York era come un altro pianeta. Ma, tornando a Elvis, man mano che ho imparato a conoscerlo meglio mi sono reso conto che la sua vita offriva l’opportunità, come dicevo prima, di parlare anche di altro.
Come il fatto che il prezzo da pagare per il successo in molti casi è l’isolamento, la solitudine?
Esatto. Sono stato amico di diverse pop star. Alcuni sono riusciti a uscire dal personaggio a un certo punto, e sono tornati a essere di nuovo persone. Ma ho conosciuto un po’ Michael Jackson e piuttosto bene Prince. In comune con Elvis avevano il fatto di dipendere dalle sostanze stupefacenti. E credo che il loro bisogno di usare droghe derivasse dal senso di solitudine. Elvis si sentiva vivo soltanto quando era sul palco.
Un altro tema del film è il mito dell’eterna giovinezza. Presley diceva: “È difficile tenere il passo con la tua immagine”.
Ho sempre cercato di fare film pensando al futuro, film che potessero essere forever young al posto mio. Quando ho girato Romeo + Giulietta di William Shakespeare (che uscì nel 1996, ndr) qualcuno disse: “A chi interessa una storia del genere?”. E, in effetti, il film ha più successo oggi di quanto ne abbia avuto allora. Ma, tornando a Elvis, il pubblico pretende dalle star l’eterna giovinezza. Il problema è che, alla fine, sono essere umani come tutti.
Come ha scelto l’attore Austin Butler per il ruolo di Elvis?
So che lui non ama parlarne, ma Austin ha perso sua madre quando aveva 23, la stessa età di Elvis quando morì sua mamma. Voleva questa parte a tutti i costi. Mi mandò un video in cui suonava il piano, non era un vero e proprio self tape, era semplicemente lui che esprimeva le sue emozioni, il suo dolore per la perdita. Poi, qualche tempo dopo, ricevetti una telefonata da parte di Denzel Washington che aveva lavorato con lui a Broadway nel 2018 nello spettacolo The Iceman Cometh di Eugene O’Neill. Mi disse: “Non ci conosciamo e ovviamente la decisione sta a te, ma non ho mai visto un attore più appassionato e impegnato di Austin”. E, in effetti, per due anni, notte e giorno, è diventato Elvis.
Nel film c’è anche una canzone dei Måneskin. Che cosa l’affascina della band italiana?
Li adoro. Sono un gruppo glam rock? Hard rock? Sono difficili da definire perché sono nuovi. Sono ragazzi pieni di talento, che si danno un sacco dare e che sono molto umili.
Dica la verità, da ragazzo anche lei sognava di diventare una pop star.
Assolutamente! Suonavo in una piccola band. Amo la musica da sempre. Per questo, oggi ho un’etichetta discografica.