Le lettere corsare di Pier Paolo Pasolini

Di diverso tenore rispetto all’epistolario di Svevo, del quale parliamo in un altro articolo su Tortuga, ma altrettanto emozionante, è il carteggio di Pasolini appena pubblicato in una nuova edizione: Pasolini. Le lettere (a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini, Garzanti, pagg. 1500 euro 60).

Nico Naldini, cugino e biografo di Pasolini oltre che autore di poesie, saggi e racconti, aveva curato l’epistolario pubblicato in due volumi da Einaudi nel 1986 e 1988. Ora, assieme ad Antonella Giordano, ha seguito questa nuova edizione arricchita, e addolora profondamente pensare che non l’abbia potuta vedere uscire, perché scomparso a 91 anni nel settembre 2020.

Un lungo lavoro di ricerca presso archivi di fondazioni, biblioteche, collezioni private ha permesso di scoprire e pubblicare oltre 300 lettere finora inedite. Molte di queste sono indirizzate ad altri grandissimi della letteratura e dell’editoria, come Volponi, Morante, Contini, Ungaretti, Attilio Bertolucci, Bassani Scheiwiller.

Un corpus enorme per un periodo che va dal 1940 con le prime lettere all’amico Franco Farolfi con il quale di qualsiasi cosa, dalla scuola, agli orrori della guerra ai baci con la lingua a una fornaia, fino al 1975, quando PPP è già l’intellettuale controverso e famoso, amato da molti, osteggiato da altri.

È l’autore di libri forse troppo avanti per i tempi, il propugnatore di posizioni scomode, il regista di film scabrosi, il critico impietoso. E l’epistolario è denso anche di bigliettini, scambi quasi telegrafici, senza alcun fronzolo.

Se Svevo era sempre rispettoso e quasi deferente con i suoi interlocutori, Pasolini andava dritto al punto, senza peli sulla lingua, prendendo spesso posizioni scomode senza paure per le eventuali ripercussioni. Basta rileggere – una per tutti – lo scambio con Livio Garzanti del 1974 e che porterà alla rottura con l’editore milanese, colpevole agli occhi di Pasolini di aver pubblicato un libro di Bevilacqua, e al conseguente passaggio a Einaudi.

E questo – ovvero che PPP non faceva sconti ed era pronto a pagare le conseguenze delle proprie scelte – è noto. Da molti punti di vista.

Verrebbe da dire, scorrendo queste lettere, che non esista un intellettuale del suo tempo con cui Pasolini non abbia scambiato opinioni dirette. Con cui abbia parlato di altri colleghi o scrittori o registi o attori. E spesso con cui abbia litigato o almeno battibeccato. È quasi un volume da aprire a caso e da cui cogliere come in un breviario.

Ci sono lettere ad Arbasino, a Bassani, ad Attilio Bertolucci, a Piergiorgio Bellocchio e naturalmente a Laura Betti e Ninetto Davoli, a Carlo Betocchi, a Giorgio Caproni e a Calvino, a Contini, a Giulio Einaudi, Roberto Roversi, a Franco Fortini e Francesco Leonetti, a Montale, Ungaretti e Vittorio Sereni, Morante e Moravia, Mario Luzi e Dacia Maraini, Sandro Penna e Leonardo Sciascia.

Chiunque. Davvero chiunque. Dite un nome a caso che abbiate trovato in un’antologia o in un libro di storia, e qui dentro c’è. E se non come interlocutore diretto, se ha avuto un peso storico o letterario, Pasolini ne ha parlato: andate nel mirabolante indice dei nomi alla fine del volume e cercate per esempio Leopardi e Pascoli, oppure Hitler e Gramsci.

Anche qui, commuove l’ultimo bigliettino, dell’ottobre 1975, indirizzato a Graziella Chaircossi, la cugina.

Cara Graziella,

verso le 2 ci sarà una pioggia di telefonate di gente a cui ho promesso un appuntamento: per es., il figlio della Boratto e un poeta di nome Cavalli.

Tu distribuisci gli appuntamenti per tutto domani pomeriggio dalle 2 ½ in poi a distanza di trequarti d’ora uno dall’altro. Verso sera poi andrei a Chia col fotografo.

Se hai tempo ricopia anche l’articolo su Warhol, che è sulla scrivania, lasciando in bianco i nomi che non ricordo.

P.

Chissà come sono andati quegli appuntamenti.

Di certo nessuno poteva immaginare che sarebbero stati gli ultimi.

Pochi giorni dopo, quel terribile 2 novembre 1975, sarebbe finito tutto.

Le telefonate.

Gli appuntamenti.

I fotografi.

Gli articoli.

La vita.

Tutto.

Infine, una piccola esclusiva per i lettori di Tortuga.

Simone Ticciati, curatore delle lettere di Svevo, dice che ogni epistolario è necessariamente un’approssimazione. Scrive “Sono convinto che ancora molte lettere giacciano nascoste in archivi pubblici e privati”.

Succede sempre che si chiuda un’edizione e salti fuori qualcosa di finora inedito. Come questa lettera (sotto le immagini) che Pier Paolo Pasolini scrive a Mario Landi nel febbraio 1943.

Nel 1942, appena ventenne, Pasolini pubblica a sue spese presso la Libreria Antiquaria Landi in piazza San Domenico a Bologna il suo primo libro, Poesie a Casarsa. Un volumetto in brossura in 300 copie numerate con poesie in dialetto friulano scritte nel paese della madre, Casarsa appunto.

L’edizione del 1942 di Poesie a Casarsa

È l’autore stesso a ricordare che cosa successe: “Una quindicina di giorni dopo che il libro era uscito ho ricevuto una cartolina postale di Gianfranco Contini, che mi diceva che il libro gli era tanto piaciuto e che l’avrebbe immediatamente recensito. Chi potrà mai descrivere la mia gioia? Ho saltato e ballato per i portici di Bologna. La recensione di Contini non è poi uscita su “Primato” com’egli aveva programmato, ma sul “Corriere di Lugano”, all’estero, in Svizzera, terra per definizione dei fuoriusciti. Perché? Perché il fascismo, con mia grande sorpresa, non ammetteva che in Italia ci fossero dei particolarismi locali, e degli idiomi ostinati imbelli”. La lettera, 11 righe manoscritte, intenerisce: quello che sarebbe diventato uno dei pensatori più influenti del suo tempo appare come un ventenne onesto e preoccupato del suo debito.

 

Eccola trascritta:

Gentile sig. Landi, vi chiedo scusa per il ritardo con cui mi ricordo di voi. Ma mi son capitate tante vicende e tanti contrattempi! Fortunatamente voi siete così paziente e gentile. Vi prego di farmi pervenire la somma che ancora vi devo e che conto di saldare subito.

Vi saluto cordialmente.

Vostro Pier Paolo Pasolini