Le trappole dell’età di passaggio nel mondo degli adulti

Crescere è saper rubare lo sguardo. Da porta socchiusa, riflesso di specchio o da dietro tende di cellophane e vetri delle finestre, diventare grandi significa guadagnarsi una frazione di verità alla volta che gli adulti sottraggono, e ricomporla.

Un insegnamento di Sergio Leone da C’era una volta in America, che il regista Nicola Prosatore, al suo esordio con il lungometraggio Piano piano (presentato al Locarno Film Festival 2022 e in sala dal prossimo 16 marzo) sa raccogliere.

Il regista Nicola Prosatore

Ed è una periferia, Capodichino, che scrutano due adolescenti, Peppino e Anna. Un pianeta formato da domande da non porre, notizie da non riferire, uomini misteriosi e passaggi segreti.

Un quartiere che anche se antico per le costruzioni, a metà degli anni Ottanta, è ancora bambino per i suoi segreti, spiati da pareti troppo sottili a cui accostare bicchieri e orecchie, sospeso a metà tra la grande città e il futuro di una sopraelevata che promette una nuova vita.

Prosatore, restituendo ugualmente carattere e forza, linguaggio e dinamica di una Napoli lontana, tra l’attesa dello scudetto ’86- ‘87 e criminalità organizzata, si sottrae ai luoghi comuni oleografici per consegnare un racconto di formazione universale.

Piano piano, più che titolo vuole essere ammonimento, un consiglio a chi, come Peppino, Anna e la stessa città, ha fretta di bruciare le tappe e crescere, occupare spazio, ingrandirsi.

I grandi si fanno male” avverte Mariuolo, soprattutto hanno il potere di obbligare e distorcere la realtà a loro piacimento. Lo sa bene Peppino, costretto dal padre magliaro, a interpretare il ruolo dello sciancato e anche Anna, oppressa da una madre che vuole vederla principessa, e mai zoccola come le coetanee del quartiere.

La locandina del film di Nicola Prosatore

Affidandosi alle sonorità disco di Self control di Raf e ai campionamenti della tastiera di Anna, il film aggiunge e mischia alla periferia napoletana ritmi, colori e atmosfere suburbane di Stranger Things. Anche perché un vero e proprio Sottosopra per i due ragazzi, un mondo nascosto dove sarebbe preferibile non accedere, esiste, anche se ha solo Samantha Fox a fare da guardiana su un poster – come Raquel Welch ne Le ali della libertà, sarà l’erotismo l’unica via di fuga?

Una scoperta che non farà altro che accelerare bruscamente la loro crescita, moltiplicando gli scontri, aumentando la tensione, talvolta, purtroppo, facendo cadere Prosatore in qualche ripetizione.

Ma Piano piano ha l’ambizione e si focalizza sull’ attraversamento di una zona grigia, l’esplorazione dei pericoli di un’età di passaggio. Due ragazzi, bloccati in una terra di mezzo, tra infanzia e maggiore età, città e campagna, che sognano una terza via: costruire da soli una possibilità che non sia la strada percorsa da chi li ha preceduti e li obbliga a seguirla.

Peppino e Anna progettano una vita che sia un collegamento concreto tra passato e futuro e non la speranza disattesa dell’asse mediano, come già aveva raccontato Pasquale Napolitano nel documentario sul post terremoto, Qualcosa Resta.

L’unica opportunità concessa è la scoperta dell’amore e di un’attrazione che li legherà uno all’altro, esponendosi alla sorpresa del piacere e superando i tabù imposti da una società che vede sopravvivere nel sesso solo vergogna e violenza.

Al netto di qualche reiterazione eccessiva di gesti e inquadrature, Piano piano di Nicola Prosatore, da film di formazione, sa superare i confini partenopei per diventare un’opera capace di raccontare il passaggio all’età adulta, quel periodo compreso tra i divieti imposti e la voglia continua di infrangerli. La curiosità e i silenzi imposti.

Un’ambizione che continua ad abitare nella periferia, non solo napoletana ma di ogni paese, aspettando di diventare finalmente grande, senza la fretta scelta da un potere occulto e senza che nessuno più ne ostacoli la crescita.