Libri, ambiente e grafomania: ritratto di re Carlo III

Recordman dell’attesa, eterno principe del Galles, Carlo d’Inghilterra è sempre stato un personaggio sottovalutato dall’opinione pubblica italiana, interessata al massimo alle sue disavventure con la prima moglie, al suo tardivo matrimonio con la seconda, ai rapporti con i figli e via gossippando.

L’attuale Carlo III è invece un personaggio interessante, anche perché è provvisto di interessi. Di tutta la famiglia, con l’eccezione forse di suo padre Filippo, è infatti l’unico a non considerare un complemento d’arredo quei curiosi parallelepipedi di carta chiamati “libri”, ma a leggerli. È insomma un uomo colto, circostanza che fa di lui un Windsor atipico.

Il suo prozio Edoardo VIII, che pure era l’eccentrico della famiglia e il primo dei suoi membri a mettersi nei guai per via di un’americana divorziata, disapprovava così il cugino George Lascelles, settimo conte di Harewood, che era un celebre appassionato d’opera: “È molto strana, quest’infatuazione di George per la musica. I suoi genitori erano assolutamente normali: amavano i cavalli, i cani e la campagna”.

In effetti, anche Carlo III ama la campagna, anzi in generale la natura. È stato un ecologista quando ancora l’ecologia non era di moda. Nella sua tenuta di Highgrove, nel Gloucestershire, coltiva prodotti agricoli rigorosamente biologici e alleva bestiame pregiato: sulla sua esperienza di agricoltore ha anche scritto diversi libri che però personalmente non ho avuto il piacere di leggere, essendo del tutto disinteressato ai campi, biologici o no.

E sono note le prese di posizione di Carlo a favore dell’ambiente, dei villaggi rurali, della campagna e contro l’architettura brutalista e l’urbanistica spersonalizzante. Questo pius agricola è stato un polemista in anticipo sui tempi e sul comune sentire, un aristocratico che, sposato il tipico interesse di casta per la terra, l’ha spostato sulla difesa della Terra.

Il suo intervento alla Cop26 di Glasgow è stato uno dei più attesi, seguiti e applauditi. Tanta era la passione in materia dell’allora erede al trono da indurlo anche a un passo falso in epoca Blair, quando iniziò a tempestare ministri e parlamentari sulle sue tematiche verdi con lettere manoscritte che furono alquanto biasimate per la scorrettezza costituzionale (la Corona è l’arbitro della politica, non un giocatore) ma anche e forse soprattutto per la pessima grafia, da zitella vittoriana, che rendeva difficile decifrarle.

Questo, in effetti, potrebbe essere un problema per Carlo III. Sua madre aveva forse delle opinioni, ma in settant’anni di regno si è sempre ben guardata dall’esprimerle. Se eccezionalmente l’ha fatto, è stato con i simboli più che con le parole, come quando si presentò all’apertura della sessione parlamentare che avrebbe dovuto votare la Brexit in tailleur azzurro-Europa con tanto di fiorellini gialli sul cappello (gialli come le stelle, diciamo).

Oppure quando, il giorno del voto del referendum scozzese per disunire il Regno unito, entrando (o uscendo, le fonti divergono) dalla chiesetta di Balmoral ammonì gli elettori “a riflettere con molta attenzione”, e stop. Anche Carlo pensa attentamente quel che dice, ma in passato il problema è stato che ha detto quel che pensava, e per la Costituzione non scritta del Regno non può farlo. Nel suo primo discorso da Re, ha tuttavia annunciato che si atterrà scrupolosamente alle forme consacrate, quindi c’è da supporre che se parlerà di politica lo farà nell’unica sede che gli è concessa: l’incontro settimanale con il primo ministro.

E qui si pone un secondo problema. Secondo il sommo sacerdote del costituzionalismo britannico, Walter Bagehot, il cui saggio The English Constitution del 1867 è ancora fondamentale, il Governo e i Comuni sono le “efficient parts”, le parti operative del sistema politico, la Corona e i Lords (nel frattempo estromessi dal potere vero) quelle “dignified”, nobili.

Insomma, le prime governano davvero, la seconda assicura il consenso popolare. In Gran Bretagna, nulla si fa se non in nome del Sovrano; ma non è certo lui a decidere cosa si fa. Il Re regna ma non governa, secondo la formula ottocentesca. Secondo Bagehot, i suoi poteri si riducono a tre: “quello di essere consultato, quello di incoraggiare, quello di mettere in guardia”. Ne consegue che diventa fondamentale la personalità di chi viene consultato, incoraggia e mette in guardia.

Qualsiasi premier intelligente ci pensava due volte prima di trascurare quel che Elisabetta II gli diceva, perché nessun altro personaggio pubblico del pianeta aveva l’esperienza, il tatto, la conoscenza del mondo e dei suoi protagonisti della Regina. Nessuno, come lei, era nato nella stanza dei bottoni e li aveva pigiati per settant’anni, accumulando un savoir faire molto pragmaticamente anglosassone ma praticamente infallibile. Carlo, nonostante si prepari a fare il suo mestiere da tutta la vita, quest’esperienza enciclopedica non l’ha, il che lo renderà meno incisivo quando si tratterà di mettere in guardia.

Di certo, Carlo proseguirà sulla strada della madre, quella di preservare la tradizione con accorti tocchi di innovazione. Sarà interessante assistere alla sua incoronazione, di cui per ora si sa soltanto che si svolgerà il 6 maggio 2023 e che “rifletterà il ruolo odierno del Monarca e sarà rivolta verso il futuro, pur restando radicata nella lunga tradizione della monarchia”, come si legge nel comunicato di Buckingham che ne annunciava la data.

Carlo III avrà meditato la lezione di Elisabetta II, che ha sempre pensato che la forma è sostanza, specie per una monarchia. I simboli dell’incoronazione sono potenti e vanno maneggiati con cura. Prendete il titolo di “Fidei defensor” di cui si fregiano i sovrani prima inglesi e poi britannici dai tempi di Enrico VIII e che, ironia della sorte, fu concesso da Papa Leone X Medici al Re Tudor che poi fece lo scisma.

Oggi è troppo legato alla Chiesa anglicana di cui il Sovrano è capo e, in generale, a una fede in particolare, quella cristiana, in un Paese sempre più multiculturale e multireligioso: perché un suddito ebreo o musulmano o induista o semplicemente ateo dovrebbe riconoscersi in un Re che difende una fede sola? Anni fa, Carlo ne discusse in un’intervista dove ipotizzava di cambiare la formula in “difensore delle fedi”, un’idea intelligente che, appunto, univa tradizione e modernità. Chissà.

L’uomo non è affatto mediocre e credo non lo sarà nemmeno come Re. Nell’attesa, God save the King.

(Alberto Mattioli, giornalista, è un esperto di monarchia britannica. Con Marco Ubezio, ha scritto il libro Elisabetta la regina infinita, pubblicato nel 2022 da Garzanti)