Crescere in un bar ascoltando “The Voice”

Libri e film in genere fanno a cazzotti. Quando un regista adatta per lo schermo le pagine scritte, i lettori spesso soffrono, non ritrovando sullo schermo ciò che hanno amato. Viceversa, tante volte intasano gli scaffali delle librerie volumi totalmente inutili, instant ispirati a qualche blockbuster (merce ormai sempre più rara).

The Tender Bar è una piacevole eccezione. Anche se forse nella sfida vince comunque il libro. Uscito in Italia una prima volta nel 2014 con il titolo Il bar delle grandi speranze, il romanzo di J.R. Moehringer è diventato l’anno scorso un film, diretto da George Clooney.

Poi, dopo la programmazione su Prime Video, il volume è stato ripubblicato come The Tender Bar, sottotitolo Il bar delle grandi speranze.  Dettagli, ma è un peccato veder così minimizzate le “grandi speranze”. Perché il bar si cui si tratta si chiama in origine Dickens (poi rinominato Publicans) e il riferimento all’autore inglese non è casuale in questa classica storia di formazione.

La copertina dell’edizione italiana del libro autobiografico di J.R. Moehringer

Dove il protagonista non è orfano come Pip, ma comunque ossessionato dall’assenza di un padre che si palesa quasi unicamente (meglio così: quando appare in carne e ossa, c’è da aver paura) come “The Voice”.

Una voce che J.R. insegue lungo le onde radio dei diversi Stati (Uniti) e che gli fa scegliere come inevitabile colonna sonora della vita Frank Sinatra.

Dall’infanzia in una famiglia e casa scalcagnata all’adolescenza con una madre alquanto tosta, alla prima maturità in cerca di un posto nel mondo: un punto fermo resiste nell’esistenza del protagonista. È il bancone del Dickens/Publicans: “L’anello di congiunzione di ogni rito di passaggio con quello precedente e successivo, e di tutte le persone che ho conosciuto”.

Lily Rabe e Ben Affleck protagonisti della versione cinematografica di “Tender bar”

Con le persone che lo popolano fra cui lo zio Charlie: interpretato da Ben Affleck, questo personaggio assume nel film un peso che in realtà nel libro non ha. Perché sulle pagine a prevalere è l’aspetto corale, una fauna alcolica dove ciascuno ha una propria caratterizzazione rivelata dai nomignoli assegnati dal gestore Steve ma soprattutto dalla scelta del cocktail con cui identificarsi.

Il romanzo di formazione è anche la formazione dell’autore, è la sua storia. Il suo trovare un posto nel mondo prima come come giornalista e poi come scrittore. E per trovare un posto fondamentale è l’assegnazione di un’identità. Ossia di un nome.

Il nome vero – John Joseph Moehringer Jr – lui non può accettarlo, perché è il nome del padre. Si presenta come JR, ma è un problema tutti chiedono per che cosa stiano quelle due lettere, probabilmente junior?

E poi, quando a Dallas sparano a JR Ewing la domanda diventa Chi ti ha sparato? Alla fine, dopo essersi bevuto i soldi che gli sarebbero serviti per andare all’anagrafe e pagare un nome nuovo di zecca, accetta il compromesso: sarà J.R. Moehringer.

Ed è con questo nome che, diventato giornalista del New York Times, dopo aver scritto nel 2005 The Tender Bar, lo scrittore firmerà Open con André Agassi. Libro best seller, amatissimo non solo o non tanto dai fanatici del tennis, anche Open in realtà affronta la questione padre, là un’assenza nel caso di Agassi un iper-presenza che fa del figlio un campione ma a prezzo di grandi perdite emotive.

In entrambi i casi, la necessità di scollarsi dalle radici genetiche per guardare avanti e crescere. Bevuto un ultimo bicchiere, guardando oltre.