Una mostra a Brescia celebra i Macchiaioli

E pensare che è tutta colpa di un giornalista se oggi definiamo alcuni pittori “Macchiaioli”.

Pare che un solerte recensore della Gazzetta del Popolo di Firenze proprio non sopportasse alcuni giovani artisti che stavano rinnovando la scena italiana con la loro pitturapiù vera del vero” e tanto lontana da certi dettami accademici.

Nel 1862 scrisse che questi artisti, attivi ormai da una decina d’anni in Toscana, erano dei “macchiaioli”, capaci solo di buttare macchie di colore sulla tela in modo maldestro.

La mostra a Palazzo Martinengo

Se volete saperne di più, e soprattutto se volete immergervi nelle affascinanti atmosfere del tempo, dovete puntare verso Brescia dove a Palazzo Martinengo è di scena, fino al 9 giugno, una importante rassegna sui Macchiaioli.

“Non potendo aspettare” di Telemaco Signorini

La loro pittura fatta di spazi campestri e di storie di vita quotidiana ben si presa ad essere ospitata nella storica residenza cinquecentesca di Brescia (che, sia detto per inciso, dopo aver concluso a gonfie vele il 2023 come Capitale della Cultura in Italia, pare voler mantenere la qualità dell’offerta culturale).

Dieci sezioni e prestiti importanti

Dobbiamo alla pazienza di Francesca Dini e di Davide Dotti una mostra estesa: sono più di cento i capolavori, tra cui quelli che vedete anche qui, firmati da Fattori, Lega, Signorini, Cabianca, Borrani, Abbati e tanti altri provenienti in gran parte da collezioni private – solitamente inaccessibili – e da importanti istituzioni museali come le Gallerie degli Uffizi di Firenze, il Museo della Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, i Musei Civici di Udine, l’Istituto Matteucci di Viareggio e la Fondazione CR Firenze.

“Le acquaiole” di Telemaco Signorini

Suddivisa in dieci sezioni (si comincia al Caffè Michelangelo, dove i pittori fiorentini più giovani erano soliti ritrovarsi, e si finisce con gli “ultimi Macchiaioli” del Novecento), la retrospettiva bresciana ha il merito di farci vivere l’avventura che questi pittori toscani che oggi definiremmo “progressisti” provarono a compiere.

Come scardinare il gusto accademico imperante? Come convincere il pubblico e la critica che non si poteva rimanere sempre ancorati al romanticismo di Hayez ma che era necessario volgere lo sguardo verso la realtà, raccontando anche la vita di tutti i giorni, in casa e nei campi?

Scardinare le regole dell’accademia

I Macchiaioli sono bravi perché cercano di scardinare le regole, ma senza dimenticare la poesia: basta vedere la grazia che traspare da dipinti come Le Cucitrici di camicie rosse di Borrani o I fidanzati di Lega.

“Cucitrici di camicie rosse” di Odoardo Borrani

Sala dopo sala, ci troviamo davanti a ritratti e a paesaggi che ci ipnotizzano e prendiamo confidenza con quei luoghi che per i Macchiaioli erano famigliari (e dunque perfetti per essere fissati su tela): il caffè Michelangelo di Firenze, il paesaggio di Castiglioncello, la Maremma tutta, gli scorci della Liguria.

Non solo i nomi più noti

Questa mostra sorprende anche perché non propone solo i “classici” nomi quali Silvestro Lega e Giovanni Fattori. Ma guarda anche a chi venne dopo, ai discepoli che furono influenzati dalla loro pittura di verità e che continuarono nel solco di questa tradizione anche nei primi decenni del Novecento.

Per la prima volta“, ha detto Francesca Dini, “la mostra storicizza l’evoluzione della poetica macchiaiola in senso naturalista, messa in atto dai macchiaioli di seconda generazione: Angelo e Adolfo Tommasi, Francesco e Luigi Gioli, Egisto Ferroni, Niccolò Cannicci ed Eugenio Cecconi, attraverso il serrato dialogo con la critica del tempo”.

Impariamo così cognomi nuovi e ci lasciamo sedurre dalle loro avvolgenti pennellate di colore.

Capolavori come Il mercato di san Godenzo e Pro patria mori di Giovanni Fattori, insieme alla Gabbrigiana in piedi di Silvestro Lega, a Il mattutino di Cabianca e a Una via del mercato vecchio a Firenze di Telemaco Signorini chiudono il percorso della mostra e ci accompagnano nel Novecento.