Questa mostra è un salto nel buio, letteralmente. Bisogna salire al primo piano di Palazzo Reale di Milano, attraversare i sontuosi corridoi (approfittatene per vedere anche la maestosa Sala delle Cariatidi) e poi lasciarsi trasportare in un universo a sé: quello di Bill Viola.
Viola (pronuncia reale, Vaiola, perché l’artista, nato nel ’51, è americano, ma è talmente legato all’Italia da preferire il suo cognome nella lettura nostrana “viola”) occupa con quindici capolavori un’intera ala del palazzo, in una mostra curata da Kira Perov, moglie, musa e sodale, e organizzata da Arthemisia, che ci dimostra – se mai ce ne fosse bisogno – perché è il maestro assoluto della videoarte.
Dentro una camera oscura
Dicevamo del buio. Se avete mai visto altre mostre di Viola, questa vi apparirà differente perché presenta i pezzi migliori della sua luminosa carriera in una sorta di camera oscura.
Si entra nella prima sala e bisogna abituare gli occhi all’oscurità assoluta prima di vedere, con la sua forza dirompente, forse il suo lavoro più potente, quel The Greetings (1995) ispirato alla Visitazione del Pontormo, dove due donne che parlano vestire con abiti di foggia cinquecentesca e che somigliano a quelle ritratte dal grande maestro rinascimentale, si parlano a vengono interrotte da un’altra che le abbraccia e le saluta.
Un gesto di meno di un minuto che Bill Viola, sfruttando magistralmente la tecnica dello slow motion, dilata fino a 10 minuti. L’aspetto sorprendente? Rimarrete incollati a vederlo dall’inizio alla fine.
La “liturgia” di Bill Viola
Capita per tutti gli altri lavori esposti, come Catherine’s Room, una serie di piccoli pannelli video in cui seguiamo i rituali quotidiani di una donna comune in vari momenti della giornata, dal risveglio alla notte, un delicato interno domestico su cui si affaccia una finestra che tradisce lo scorrere del tempo, catturata dalla telecamera di Viola con pazienza e grazia.
Che dire poi di Four Hands, dove le mani di una donna, di un ragazzo, di un uomo e di un’anziana, seguono gestualità tipiche del buddismo e simboleggiano le fasi della vita umana? Fin dalle prime sale, questa non ci appare solo come una mostra, piuttosto come una liturgia di cui Bill Viola è il sacerdote che ci conduce nella sua visione del mondo, fatta di picchi e di abissi.
Gli occhi, alla seconda sala, si sono ormai abituati al buio. Il consiglio è di metter via anche il cellulare e l’orologio perché questa è una mostra da gustare, appunto, in slow motion, con calma e nel silenzio, anche per cogliere tutte le sfumature dei tappeti sonori pensati dall’artista.
Tra i video più sorprendenti c’è Emergence, di una ventina di anni fa, che si ispira a un affresco di Masolino da Panicale intitolato Pietà e datato 1424: Bill Viola, che alla fine degli anni Novanta, durante un lungo soggiorno fiorentino si è innamorato della pittura toscana del Rinascimento e l’ha studiata in maniera molto approfondita, ci restituisce un Cristo contemporaneo, diafano, che riemerge da un sepolcro traboccante d’acqua.
Assistiamo a questa scenografica resurrezione e non possiamo non esserne ipnotizzati, come peraltro accade in altri video dove l’acqua, così come il fuoco, sono elementi fondamentali, che Bill Viola usa per creare i suoi “tableau vivant” di incommensurabile potenza e fascino.
The Raft, il capolavoro
Una sala a parte è dedicata a The Raft, un lavoro del 2004 in cui vediamo un gruppo di persone di provenienza sociale ed etnica diversa è improvvisamente investito da un’ondata gettata da un tubo a pressione: c’è chi ne è travolto, chi riesce a ripararsi, chi dà una mano all’altro, chi scappa.
Il video termina sui volti disorientati di questi uomini e queste donne, che tanto somigliano a noi, mentre siamo alle prese con le sfide del presente.
Poco prima, davanti a L’Ascensione di Tristan, un video del 2005, si assiste alla drammatica rappresentazione dell’ascesa dell’anima nello spazio dopo la morte, rappresentata da Bill Viola da una cascata che scorre al contrario, spingendo il corpo inerte di un uomo fino a farlo sollevare e scomparire in alto.
Questa mostra è un salto nel buio come sanno esserlo solo certe eccellenti esposizioni dei grandi maestri di oggi, capaci di interrogare i visitatori sui nodi più profondi dell’esistenza, sul valore della nostra vita, qui e oggi, e su un possibile Altrove.