La verità sul sodalizio artistico fra Lee Miller e Man Ray

La foto più celebre di Elisabeth, per tutti Lee, Miller (1907-1977) è quella che la ritrae, all’indomani della Caduta, nella vasca da bagno di Adolf Hitler. Bellissima, nuda, con lo sguardo che fissa la telecamera: Lee Miller ha vissuto così, senza mai chiedere il permesso. 

Fino a poco tempo fa ritenuta “la musa” per eccellenza di Man Ray, padre del Dadaismo e sperimentatore capare di mescolare arte e fotografia, Lee Miller è stata molto di più. “Preferisco fare una foto che essere una foto“, diceva e dalle sue parole, oltre che dalla sua copiosa produzione, muove una straordinaria mostra allestita nei sontuosi spazi di Palazzo Franchetti, affacciato sul Canal Grande di Venezia, a pochi passi dal ponte dell’Accademia. 

Autoritratto di Man Ray (1931)

Lee Miller Man Ray. Fashion, love, war (fino al 10 aprile), prodotta e organizzata da Cms Cultura in collaborazione con ACP Palazzo Franchetti e curata con competenza e passione da Victoria Noel-Johnson, si presenta come un percorso in 140 fotografie in bianco e nero firmate da Lee Miller e Man Ray (1890-1976), per raccontare per la prima volta quali fossero i loro reali rapporti di forza.

Lee Miller fu sì prima solo assistente, modella, apprendista e poi compagna di Man Ray, ma fu anche molto altro: in tre vorticosi anni, tra il 1929 e il 1932, il loro connubio non riguardò solo la sfera sentimentale, ma anche quella artistica. 

Moltissimi dei lavori più celebri di Man Ray, tra cui The tears, che ritrae degli occhioni di donna (sono quelli della Miller) con delle lacrime sovraimpresse, sono firmate solo dall’artista, ma di fatto realizzate a quattro mani, con il fondamentale contributo creativo di Lee Miller.

The Tears di Man Ray, 1930

Possiamo oggi dirlo con certezza – e la mostra a Venezia lo illustra alla perfezione – grazie al ritrovamento, avvenuto decenni dopo la morte della donna, di moltissime fotografie, negativi, documenti: erano nascoste in soffitta nella casa di famiglia, nella campagna inglese, e furono scoperti per caso dalla moglie di Anthony Penrose, unico figlio di Lee Miller.

Proprio a partire da questi documenti (parliamo di 60mila pezzi) si sono costituiti i Lee Miller Archives e mostre come questa adesso in corso a Palazzo Franchetti possono realizzarsi. 

La vita di Lee Miller è stata intensa, e non stupisce che Hollywood sia al lavoro per una pellicola che avrà Kate Winslet come protagonista.

Miller nasce in America bella, bellissima, di una bellezza abbagliante, quasi irreale. Narra la leggenda che a metà degli anni Venti, dopo essere stata vittima di un incidente in strada a New York, venne soccorsa da Condé Nast, il magnate dell’editoria, che la ingaggiò immediatamente come modella per Vogue.

Tutti i servizi più importanti del momento e le copertine più iconiche (alcune le vediamo esposte a Palazzo Franchetti) hanno il suo volto in primo piano. Le pubblicità si contendono il suo viso perfetto, il fisico androgino. Ma Lee Miller vuole altro, pretende di più: lascia New York all’apice della carriera di modella e viaggia in Europa per approdare a Parigi, alla ricerca di studi di avanguardia dove apprendere l’arte dell’obbiettivo, la sua passione viscerale. 

Le presentano Man Ray e lei ne resta folgorata: lo scongiura di prenderla come assistente, perché vuole imparare tutte le tecniche sperimentali che il movimento Dadaista stava teorizzando in quel periodo.

Max Ernst, Salvador Dalì, Pablo Picasso erano sempre di passaggio, in atelier. Man Ray all’inizio è riluttante: è un artista affermato, Lee Miller è di 16 anni più giovane ed è inesperta. Sono sufficienti poche settimane per legarli indissolubilmente: in poco tempo, Lee Miller e Man Ray diventano amanti e sodali, sperimentano la tecnica fotografica della solarizzazione tanto che moltissimi degli scatti che vediamo in mostra a Palazzo Franchetti, nascono dal loro continuo confronto.

Un ritratto di Lee Miller realizzato da Man Ray (1930)

Molti dei lavori firmati da Man Ray, sono stati fatti da Lee Miller: in mostra si esamina la sua peculiare attenzione per il proprio corpo, che trasforma in una sorta di natura morta da vivisezionare (primi piani della nuca, del collo, delle spalle). 

La relazione procede tra alti e bassi: la fotografia è un ottimo collante, ma non basta. Man Ray è sedotto da Lee Miller, una dea dotata di vitalità, intraprendenza e intelligenza: in un momento di rabbia dedica al collo di lei persino una fotografia della sua nuca sgozzata…

La relazione amorosa (ma non l’amicizia e la stima reciproca) s’interrompe: Lee Miller torna in America, dove fonda il primo studio fotografico diretto da una donna. Man Ray, a Parigi, per anni si strugge e in mostra il suo dolore è testimoniato da opere come Perpetual Motif, un metronomo del moto perpetuo con al centro l’occhio di Lee Miller. 

Inquieta e curiosa del mondo, Lee Miller viaggia e nel 1934 sposa un uomo d’affari egiziano: il matrimonio dura poco, ma la sua permanenza nella terra dei Faraoni ci regala degli scatti di paesaggio di straordinaria suggestione, cui la mostra a Palazzo Franchetti dedica una sezione. 

Tornata in Europa, a Londra, Lee Miller conosce l’artista britannico surrealista Roland Penrose cui si legherà per sempre: continua a lavorare come fotografa, per Vogue Uk è bravissima a confezionare servizi di moda dal taglio surrealista, modernissimi a osservarli ancora oggi.

Fire Masks di Lee Miller (1941)

La sua vita ha una ennesima giravolta: scoppia la guerra e Lee Miller diventa, per Vogue America, la perfetta corrispondente, realizzando una serie di lavori che hanno fatto la storia, come quelli delle modelle che camminano sulle macerie, per non parlare degli scatti nella casa di Hitler di cui si parlava all’inizio e dei toccanti reportage dai campi di concentramento di Buchenwald e Dachau. Le sale finali della mostra sono dedicate a queste sue foto, indimenticabili.

C’è infine una stagione di Lee Miller, l’ultima, che non può essere illustrata, ma che merita di essere raccontata: la guerra e l’esperienza sul campo provoca alla donna un disturbo post-traumatico che sfocia in una profonda depressione.

Man Ray, divenuto anche amico di Roland Penrose, starà accanto a Lee Miller fino all’ultimo, anche nel periodo più doloroso: a testimonianza di questa profonda amicizia, la mostra a Palazzo Franchetti si chiude infatti con una gigantografia dei due, anziani ma sorridenti. Moriranno a distanza di un anno l’una dall’altro.