Una stazione, una signora che dovrebbe prendere un treno e partire, ma non ci riesce, un clochard che “risiede” lì con il suo pianoforte, e un capotreno.
È questa la cornice drammaturgica di Cartoline illustrate e cantate. Omaggio a Gianni Rodari, che la Compagnia Schedía Teatro presenta al Mompracem festival il 5 maggio (Ore 15.30, Palazzo dei Congressi- Sala C).
Un’idea nata da Valerio Bongiorno (il capotreno) con Sara Cicenia e Gabriele Bernardi (il clochard musicista), con la regia di Riccardo Colombini, autore anche dei testi che fanno da collante alle filastrocche di Gianni Rodari (trasformate in canzoni da Virgilio Savona e Lucia Mannucci del Quartetto Cetra che, nel 1972, ne fecero un album) che sono il cuore dello spettacolo. Più una filastrocca musicata e cantata dallo stesso Bernardi. Di Cartoline illustrate e cantate ne parliamo con Valerio Bongiorno e Riccardo Colombini.
Come nasce l’idea dello spettacolo?
Bongiorno: “Inizialmente era un recital, solo parole e musica. Ma volevamo una situazione più teatrale. Ne è venuto fuori questo spettacolo che è un gioco semplice come semplici, del resto, sono le fiabe”.
Colombini: Le stazioni, i treni sono ricorrenti nei racconti di Rodari, da qui l’idea di usarli come cornice. Inoltre nello spettacolo ci sono un paio di filastrocche che parlano proprio di treni”.
Rodari fa parte della vostra formazione? Che cos’altro leggevate da bambini?
Colombini: “Assolutamente sì. Ma se Rodari ha una serie di elementi che sono assolutamente universali, il tema della pace per esempio, nei suoi testi ci sono anche diverse situazioni e personaggi che ai bambini di oggi dicono poco, per cui abbiamo cercato di attualizzarlo. Che cos’altro leggevo da bambino? Roald Dahl senza dubbio era uno dei miei preferiti. Ed ero un appassionato di Topolino, anche se non è esattamente un libro per bambini”.
Bongiorno: “Io sono nato nel 1953, Rodari è diventato patrimonio comune di una generazione successiva alla mia. Da bambino non ero un gran lettore, la letteratura per l’infanzia ho cominciato a frequentarla soprattutto dopo aver iniziato a fare teatro. Però mi ricordo che da piccolo mi piaceva inventare storie. Lo facevo a scuola. Ho ancora una pagella in cui la maestra menzionava questa cosa (Ride)”.
Avete sempre fatto teatro per bambini?
Bongiorno: “Sì. La mia compagnia storica è la Filarmonica Clown di Milano. Quindi ho lavorato al CRT. Però all’inizio facevamo spettacoli serali per le famiglie. È stato dalla seconda metà degli anni Ottanta che abbiamo cominciato anche a lavorare con le scuole”.
Colombini: “Con la Compagnia Schedía Teatro abbiamo scelto 15 anni fa di lavorare nel teatro per bambini e ragazzi. Una scelta consapevole”.
Anche perché fare spettacoli per l’infanzia è più difficile, no?
Colombini: “Diciamo che il teatro per bambini e ragazzi presenta tutta una serie di complessità. In generale, è un pubblico che non applaude per convenzione. Se le cose non funzionano si distrae, fa altro…. Con gli adulti, alla peggio, qualcuno si addormenta in platea”.
Bongiorno: “Soprattutto fino a qualche anno fa, veniva considerato un teatro minore, ma non è assolutamente così”.
Perché portare i bambini a teatro?
Bongiorno: “Non tanto per “crescere” il pubblico del futuro come sostiene qualcuno. Secondo me è più importante il fatto che il teatro rappresenti uno spazio di condivisione, un luogo di comunità dove imparare la grammatica degli affetti e delle emozioni”.
Colombini: “Intanto perché fa bene nel senso che è uno dei pochi riti rimasti nella nostra società che ci obbliga a essere nel presente, qui e ora, con i nostri bambini, ragazzi e con gli artisti che sono lì per esibirsi per noi. Poi perché il teatro apre all’immaginario in un mondo in cui siamo bombardati da contenuti preconfezionati. Infine, perché anche i bambini fin da piccoli sono soggetti culturali”.
Una delle filastrocche dello spettacolo che amate in particolare?
Bongiorno: “In questo momento, perché il teatro vive nel nostro tempo, mi viene da dire La guerra delle campane, un racconto breve di Rodari. Una storia meravigliosa: due generaloni per vincere la guerra fanno fondere tutte le campane dei loro rispettivi paesi per farne dei cannoni. Ma quando li usano per bombardare i nemici, i cannoni invece di fare boom, fanno din don dan. A quel punto, i soldati escono dalle trincee e si abbracciano”.
Colombini: “Sono d’accordo con Valerio, è una filastrocca bellissima. Ma aggiungo anche La torta in cielo che è un po’ una variazione sul tema del pacifismo perché la torta del titolo si scopre essere il risultato di una detonazione atomica andata non a buon fine, un po’ come i cannoni che non fanno boom”.
Come nascono le storie?
Bongiorno: “Si può partire da una parola, da una situazione, da un’immagine. Per esempio, mettiamo che sto scendendo le scale, posso arrivare in fondo e uscire, oppure inciampare. Ma, invece di cadere, capita che faccio una piroetta e mi ritrovo in piedi… Come ho fatto?”.
Colombini: “Nella sua Grammatica della fantasia Rodari raccontava come non esista un solo modo. Le storie possono nascere da un errore – come il ponte fatto di cemento amato invece che armato – oppure da un rovesciamento: Che cosa succede se Cappuccetto è verde o giallo invece che rosso?”.
Se avete figli che fiabe raccontavate loro quando erano piccoli?
Colombini: “Ho una bambina di sette anni e la storia è ancora il nostro rito della buonanotte. Leggiamo veramente di tutto, libri della mia infanzia, quelli recenti, albi illustrati…
Bongiorno: “Le mie figlie, Giulia e Irene, ormai sono adulte. Onestamente, non mi ricordo che fiabe leggessimo. Però venivano a vedere i miei spettacoli fin da piccole. In uno di questi, c’erano due clown, uno bianco, che ero io, uno nero. A un certo punto, il clown nero mi strappava la cravatta e mia figlia Irene, che allora avrà avuto tre anni, si arrabbiò. Voleva salire sul palco per vendicare il suo papà”.