L’arte celebra la vita alla Fondation Beyeler di Basilea

La Fondation Beyeler di Basilea compie venticinque anni e si (anzi: ci) regala la mostra perfetta per questo suo giubileo.

Alcune premesse sono necessarie: il museo d’arte si trova a Riehen, ridente cittadina a pochi chilometri da Basilea, in un quel lembo di terra svizzera incistato tra Germania e Francia, da sempre crocevia di storie, scambi, commerci di opere e idee.

È qui che nel Dopoguerra, Ernst Beyeler, gallerista tra i più grandi di sempre, ha dato vita insieme alla moglie Hildy a una delle più cospicue e raffinate collezioni d’arte moderna al mondo: dal 2010 Ernst Beyeler non c’è più, dopo una vita passata a promuovere e lanciare i grandi talenti del Novecento (un nome su tutti: Pablo Picasso), ma dal 1997 a Riehen la Fondation Beyeler ha aperto al pubblico la sua collezione diventando meta obbligata del pellegrinaggio laico degli art-lovers di oggi.

La sede della Fondazione Beyeler progettata da Renzo Piano

È un indirizzo da non perdere, un luogo da visitare e dove tornare, anche grazie all’intensa programmazione espositiva. Gli spazi della fondazione, tra colline, campi di pascolo e vigneti ai piedi della Foresta Nera, sono stati progettati 25 anni fa da Renzo Piano: ancora oggi le sue sale ampie e luminose e il delizioso parco, con lo stagno esterno che richiama le Ninfee di Monet alle pareti del museo, rendono la visita indimenticabile.

Chi vi è già stato, dovrebbe tornarci di questi tempi perché fino all’8 gennaio la Fondation Beyeler, diretta da Sam Keller, celebra sé stessa in modo originale (e con elvetico understatement).

Chi non l’ha ancora vista potrebbe approfittare dell’occasione. La Mostra del giubileo: special guest Duane Hanson, curata da Raphael Bouvier, è infatti la più ampia mostra sulla collezione permanente mai allestita alla Beyeler.

Permette, in un viaggio attraverso cento opere di trenta diversi artisti, di vedere con occhi nuovi una parte consistente del patrimonio con, in aggiunta, una chicca che potremmo definire una sorta di “mostra nella mostra”, costituita da tredici sculture iperrealistiche dell’artista statunitense Duane Hanson (1925-1996) che ritroviamo, spesso con effetti a sorpresa, nelle varie sale.

L’esposizione si apre con opere da capogiro, come il Campo di grano con fiordalisi, capolavoro di Vincent van Gogh del 1890. Nella stessa sala, poco distante, La Source, del 1917, di Pierre Bonard, recente acquisto dell’istituzione. Ci immergiamo via via in magnifiche composizioni impressioniste firmate da Paul Cézanne, Edgar Manet, Claude Monet.

È solo l’antipasto di quel che ci attende nella sala successiva dove, davanti alla finestra che dà sullo stagno, le straordinarie Ninfee di Monet, un’opera di due metri di lunghezza in cui la pittura diventa quasi rarefatta, ipnotizzano il visitatore. Davanti al quadro, una delle sculture di Hanson, in scala 1:1, Man on a Mower, uomo sul tosaerba, del 1950, ci guarda.

Il cortocircuito è compiuto e continua sala dopo sala: nell’ambiente dedicato ai notevoli lavori della sudafricana Marlene Dumas, un’altra scultura iperrealistica di Hanson è presente. Questa volta si tratta di un ragazzo nero che pulisce i vetri, posto vicino alla vetrata della sala. Il “gioco” continua: davanti al divertente dipinto di Henri Rousseau, due sculture di bambini giocano per terra, in mezzo alle giganti ma filiformi sculture di Giacometti Woman with child in stroller, donna con bambino nel passeggino, di Hanson quasi non si distingue dai normali visitatori di passaggio.

L’autoritratto di Andy Warhol e davanti una scultura di Duane Hanson

Davanti ai lavori pop di Andy Warhol troviamo una coppia di sculture di Hanson: sono un uomo e una donna che mangiano seduti a un tavolino. Nella grande sala dedicata ai capitali lavori di Anselm Kiefer, una delle artistar contemporanee che maggiormente si interroga sul senso della vita umana, una composizione grandiosa di Hanson mostra un gruppo di operai edili al lavoro mentre nello spazio dedicato ai lavori spirituali di Mark Rothko, tele bicolori in cui ci si perde negli abissi della pittura, sulla panca scorgiamo un paio di anziani: sono sculture ma sembrano turisti di passaggio e l’istinto è quello di sedervisi accanto.

Incredibile, questa mostra: vediamo capolavori assoluti (non dimentichiamo che la Beyeler possiede oltre 30 opere di Picasso), da Kandinsky a Francis Bacon fino a Tacita Dean e Roni Horn attraverso lo sguardo delle installazioni di Hanson, prestate per l’occasione. L’inganno diverte solo in un primo momento.

A ben guardare, tutti i personaggi dell’artista americano hanno il volto chinato, lo sguardo perso e vuoto. Duane Hanson è stato un maestro, con il suo realismo in chiave pop, nel ritrarre le categorie svantaggiate della classe media: le sue sculture, più vere del vero grazie all’uso di una resina poliestere che nei decenni scorsi costituiva una tecnica innovativa, ci mettono davanti all’inganno perenne della rappresentazione.

La Fondation Beyeler compie dunque un’operazione interessante per questi suoi primi 25 anni di vita: celebra sì il meglio della sua collezione permanente, ma vi include il pubblico più vario ed eterogeneo, ricordandoci che un museo vive ed è tale solo grazie alle persone che lo frequentano o che vi lavorano, inclusi coloro che svolgono le mansioni più umili. L’arte non può mai bastare a sé stessa.