Roberto Piumini incontra il pubblico del Mompracem festival

Toccherà a lui aprire – il 2 maggio a Lugano – la seconda edizione del Mompracem festival. Letteratura e arti per bambini e ragazzi. Roberto Piumini ha 77 anni e, come dice lui stesso, ha probabilmente pubblicato più di tutti gli autori della sua generazione. Lo ha fatto con libri, racconti, poesie, scritture teatrali, fumetti: ovunque ci fosse una storia e un linguaggio, lì è stato Piumini.

Le sue opere sono rivolte talora a un pubblico adulto, ma più spesso a destinatari “piccoli”, bambini delle scuole elementari, ragazzini delle medie. È proprio per questo che il festival lo ha voluto.

Che cosa presenterà?

Ci sarà più di un incontro, a seconda delle diverse fasce anagrafiche. Ai più piccoli proporrò come faccio sempre qualche gioco, coinvolgendoli in modo teatrale, interpellandoli, tirandoli dentro. Poi, parleremo insieme di quello che è successo, dei loro interessi sulla scrittura, di quello che hanno letto.

E per i più grandi?

Porterò Alzati, Martin, spettacolo pensato per un pubblico a partire dalla prima media fino agli adulti. È un melologo, riduzione mia di un poema lungo che ho scritto su Martin Luther King, partendo dalla schiavitù, la raccolta del cotone, fino alla sua presa di coscienza, alle prime lotte. Il testo tutto in ottave vuole recuperare l’epica, perché sono convinto che la poesia non debba essere esclusivamente dedicata al dolore di pancia dell’anima, ma possa raccontare storie servendosi della rima, del ritmo, della metrica.

Lo ha chiamato melologo, quindi sarà uno spettacolo musicale.

È ampliato dalla musica eseguita da Nadio Marenco, fisarmonicista che ha preso anche spunti dal blues e dai gospel. Poi ci sono le illustrazioni che Paolo D’Altan aveva realizzato per il libro e che vengono proiettate.

Sul suo sito scrive che il 1976 è stato “l’anno di passaggio”: prima insegnava…

Ho fatto sette anni di supplenze nelle medie e superiori. Ma non ero un bravo insegnante, mi mancava il metodo, la pazienza.

Quindi è diventato attore e poi ha iniziato a scrivere poesie e raconti per l’infanzia. Quanto sono cambiati in questi quasi cinquant’anni i bambini?

Oggi c’è un problema di concentrazione, di mancanza di oralità diffusa, una silenziosità dei ragazzi che comporta una maggiore difficoltà a coinvolgerli. Purtroppo la sfera del gioco fin da piccoli è il piccolo schermo, non una partecipazione.

Lei ha figli, nipoti?

Ho un figlio grande che fa il traduttore e ha due maschietti, che frequentano seconda media e quinta elementare. Poi sono fortunato zio di una quantità di nipoti. Quella è la parte calda della mia vita.

Perciò ha sempre avuto contatto con le età più giovani.

Mio figlio mi ha dato uno spunto fondamentale per Lo stralisco, fiaba su un bambino malato che vive in un palazzo con un ricco padre e non può uscire, finché un pittore arriva a colorare le pareti e insieme poi decidono di dipingere il mondo. La storia è nata da una domanda che lui mi fece a 4 anni: se sarebbe morto. Io, da laico, gli parlai del ciclo della natura. Però non ero soddisfatto della mia risposta e dopo una decina d’anni ho scritto questo libro. Detto questo, in genere il bambino cui mi riferisco quando scrivo è il me stesso bambino.

Che bambino era?

Abbastanza solitario, introverso, portato più a pensare che a fare cose, da subito interessato alla parola espressiva. La radio è stata la mia bibliografia sonora, ha informato un po’ tutto il mio discorso: per questo la mia è una parola orale, da sentire ad alta voce.

Una parola quindi teatrale.

La poesia è il teatro della parola. Dove la parola non è solo portatrice di un significato, ma anche di un suono, una melodia, una tensione di attesa, erotismo in senso buono. La poesia per bambini non è però solo il teatro: è il circo della parola, in cui questa gioca in modo più vistoso, divertente ma non finto. Oltre al gioco, abbiamo il corpo in evidenza, con i suoi bisogni e le sue sensazioni. Infine, c’è la narrazione. Sono questi gli ingredienti più coinvolgenti per un bambino, inteso non come singolo ma in prospettiva corale.

Adesso su che cosa sta lavorando?

Negli ultimi tempi penso che le storie le ho già un po’ tutte fatte, tuttavia mi è rimasto un bel linguaggio che vuole vivere. Scrivo tantissimo, per progetti editoriali ma anche privati o corsi di formazione, su immagini, foto, disegni: il plot è già scelto e io devo solo mettere al lavoro il linguaggio. Poi, ho messo in endecasillabi alcuni racconti che avevo pubblicato molti anni fa in prosa. D’altra parte, se le storie e il linguaggio se ne andassero via, mi resterebbe solo da guardare i cantieri in strada.