Sciascia e la Svizzera: un’altra idea del mondo

Nel 1957 Albert Camus vinceva il Nobel, Aldo Moro era ministro della Pubblica Istruzione, Marco Pannella – che due anni prima aveva fondato il Partito Radicale – già urlava fuori dal Palazzo, Giulio Andreotti era ministro delle finanze, Enrico Berlinguer vicesegretario regionale del PCI in Sardegna, Pier Paolo Pasolini scriveva Le ceneri di Gramsci e Leonardo Sciascia vinceva il Premio “Libera Stampa”, con due racconti, poi finiti ne Gli zii di Sicilia. Erano La zia d’America e Il Quarantotto divenuti per il premio: Due storie italiane. Senza quella vittoria non ci sarebbe stato il resto di Sciascia, lo ha sempre detto, l’unico premio al quale partecipò liberamente, gli altri, tra questi anche uno Strega con Il giorno della civetta dove non entrò nemmeno in cinquina, lo videro sempre costretto e defilato.

«Il Premio per me è stato importante: Vittorini già cominciava a distaccarsi dall’idea per cui aveva dato vita ai Gettoni, avrebbe pubblicato il libro, come poi lo ha pubblicato, come atto liquidatorio di una sua esperienza. Probabilmente, se la giuria del “Libera Stampa” non mi avesse premiato, avrei liquidato anch’io la mia esperienza, appena cominciata, di narratore».

Duemila franchi, di premio, che diventano due stampe, una collana di perle e la forza per continuare. La Svizzera gli diede la consapevolezza che non aveva ancora. Senza, avremmo avuto un maestro di scuola e non lo scrittore che inquietò i poteri italiani. In Svizzera furono pubblicate per prima le sue traduzioni in tedesco, creando legami fortissimi, raccontati da Renato Martinoni in Troppo poco pazzi.

Poi ci furono le collaborazioni con i giornali:  “Libera Stampa”, e “Corriere del Ticino”, le conferenze e le apparizioni alla tivù Svizzera. In una di queste, chiamato a vedere i filmati sull’atomica con il fisico Emilio Segrè, scrutando la serenità dello scienziato, ebbe l’idea per scrivere La scomparsa di Majorana, che uscì a puntate nel 1975 sulle pagine de “La Stampa”.

Ancora una volta senza quelle che potremmo chiamare le coincidenze svizzere, non avremmo avuto la scintilla che accese la curiosità sciasciana e lo portò a raccontare una storia che era di lato, abbastanza dimenticata, quella del fisico Majorana che scompare davanti a una scoperta spaventosa.

Anni prima, nel 1961, uno scrittore svizzero, che in molti avrebbero accostato a Leonardo Sciascia, aveva lavorato su un tema simile: Friedrich Dürrenmatt con I fisici (Die Physiker), raccontava di Johann Wilhelm Möbius, fisico, che scoprendo la formula universale del sistema per tutte le scoperte, e per evitare che questa cadesse nelle mani del male, si fingeva pazzo, facendosi internare in una casa di cura. Venendo seguito da due spie, con lo stesso trucco, la pazzia, un americano che diceva di essere Newton e un comunista che diceva di essere Einstein.

È una variazione sul convento scelto da Sciascia per Majorana, anche se dirà di aver letto la commedia solo anni dopo aver scritto la sua indagine. Ed è curioso che Dürrenmatt limerà il suo testo teatrale dopo aver letto Sciascia. In una sorta di continuo ripensamento reciproco, rispetto alla fuga dei fisici davanti alle scoperte scientifiche.

In molti accosteranno i due scrittori, per il poliziesco – niente a che vedere con quello di oggi – che tornava utile per misurare la realtà e smascherarla in un mondo parallelo. Entrambi furono scrittori europei, che evasero nella pagina – lasciando il proprio paese percepito come prigione – alla ricerca di risposte che non trovavano nel quotidiano, inventando uomini migliori di quelli che gli capitava di incontrare, capaci di mantenere le promesse fatte agli altri o a se stessi.

Sicuramente Sciascia non pensava a Dürrenmatt né a Glauser o a Fritz Zorn, il cui Mars, fu tradotto in Italia da Mondadori col titolo Il cavaliere, la morte e il diavolo, evocato dallo sciasciano Cavaliere e la morte, quando, intervistato nel 1974 da Giulio Villa Santa per la Radio della Svizzera italiana, disse: «Nella misura in cui considero noi siciliani pazzi, considero gli svizzeri troppo poco pazzi, perché hanno quello che noi non abbiamo e hanno fatto quello che noi non abbiamo fatto. In effetti la Svizzera è una terra più povera della Sicilia, però ha raggiunto un grado di benessere che la Sicilia non si sognerà. Sì, la Svizzera è troppo poco pazza, forse anche troppo, il troppo si può anche usare in senso negativo».

L’ennesima complicanza del pensiero sciasciano, che un po’ condannava la Svizzera e, bonariamente, molto ne invidiava. Dove il molto può essere anche usato in senso negativo. È curioso che, per tutto il Novecento, la Svizzera abbia fatto da incubatore di eversori, custodendo e accudendo i veri pazzi – da Lenin a Sciascia – con un disegno diverso del mondo. Dove la pazzia, era l’audacia di pensare al rovescio e di sovvertire l’acquisito, d’immaginare un mondo nuovo, di generare caos e razionalità, partoriti dalla quiete di un lago.

La Svizzera non ha drammi, li genera: su pagina e nella Storia.