Perché in Russia le spie vanno al potere (e non in libreria)

Agli scrittori di spy stories poteva capitare un’occasione più ghiotta di uno Stato presieduto e governato da un’ex spia? Uno Stato che, per di più, non è uno Stato qualunque ma è la Russia, già protagonista e teatro di infinite fantasie spionistiche e di altrettanto numerose e concretissime azioni, tra Kgb e altre simpatiche istituzioni.

Eppure il ventennio di potere di Vladimir Putin, che lavorò a lungo in Germania per il Kgb, in un ruolo tutto sommato secondario, ma in Occidente debitamente enfatizzato per costruire un’adeguata leggenda nera sull’inquilino del Cremlino, ha prodotto poco o nulla dal punto di vista narrativo: saggi quanti se ne vuole, pamphlet a profusione, ma se uno vuole leggere un buon romanzo deve ancora rivolgersi a La casa Russia del vecchio Le Carré, scritto nell’ormai lontano 1989.

Lo stupore aumenta se solo pensiamo che Putin, ovvero l’uomo d’intrigo che diventa uomo di governo, non è in Russia un incidente di percorso. Lo era semmai nell’Urss, dove agli uomini dei servizi segreti non si permise mai di avvicinare il vertice. E l’unico che, alla morte di Stalin nel 1953 ci provò davvero, Lavrenty Beria, l’efferato carnefice che aveva passato la vita a reprimere e incarcerare, fu prontamente fucilato per ordine di Nikita Krusciov.

Ma nella Russia post-sovietica agli agenti dei servizi segreti sono stati fatti ponti d’oro. L’uomo che la nomenklatura del Pcus aveva scelto per salvare l’Urss alla morte di Leonid Brezhnev nel 1982, infatti, era Jurij Andropov, dal 1967 capo del Kgb con una durata record nella storia di tutti i servizi segreti russi. Andropov durò poco, la malattia lo portò via dopo soli due anni al vertice. Fece però in tempo a lanciare la carriera di un suo conterraneo (regione di Stavropol’) e pupillo, Mikhail Gorbaciov.

Finita la perestrojka e avviata l’era di Boris Eltsin, toccò a un altro spione dare la scalata ai vertici del potere politico. Evgenyj Primakov, ex giornalista, specialista del mondo arabo e come tale in gioventù spesso impegnato in Medio Oriente in missioni di intelligence per il Kgb, divenne prima ministro degli Esteri (1996-1998) e poi addirittura primo ministro (1998-1999), per essere poi brevemente sostituito da Sergey Stepashin che, guarda caso, nell’incarico precedente, era stato direttore dell’Fsb, il servizio di controspionaggio.

E a Stepashin succede Putin che, sempre guarda caso, aveva prima ereditato il suo posto all’Fsb. Il che ci potrebbe anche far pensare che il periodo post-sovietico non sia stato, per la Russia, quello della ricerca dell’uomo giusto ma, piuttosto, quello della ricerca dello spione giusto.

Ecco. Perché, con tutto questo andirivieni tra spionaggio e politica, con i lunghi corridoi nel Cremlino e i bagliori dei pugnali che ci vengono subito alla mente, nessuno, né in Russia né altrove, ha mai saputo scriverci sopra qualcosa come La talpa o anche solo Gorky Park?

Avendo dedicato in anni non sospetti buona parte di un libro (La Russia è tornata) ai retroscena dell’ascesa di Putin, ho il forte sospetto che nessuno si sia addentrato nei segreti delle spie russe che si sono prese il potere per un fatto molto semplice: non c’è nessun segreto.

Il caso Andropov parla chiaro: il capo del Kgb fu chiamato a governare l’Urss perché solo gli uomini dei servizi segreti, proprio perché spioni di mestiere, sapevano davvero dove mettere le mani, dove stava il marcio, chi bisognava sostituire per sperare di tenere in piedi la baracca. E avevano i mezzi per farlo.

E pochi anni dopo Putin, che nel frattempo aveva lasciato il Kgb ed era tornato a San Pietroburgo, divenne il vice-sindaco della città a fianco del super-liberale e super-democratico Anatolyj Sobciak, non per un qualche complotto oscuro, ma per la stessa identica ragione. Alla fin fine, anche i democratici si fidavano (o avevano bisogno) più delle ex spie che degli ex comunisti.

Vladimir Putin, in fondo, ha solo completato l’opera, nella stessa scia. Si è circondato di ex colleghi e amici dei tempi del Kgb e di San Pietroburgo, perché di loro si fidava più che di altri. Loro, quelli del circolo ristretto, ci ridono pure su senza problemi. Nel 1999 Vladimir Putin, in quel momento primo ministro, si recò alla Lubyanka (la storica sede del Kgb) per festeggiare l’anniversario della Ceka, la polizia segreta che fu la “madre” di tutti i servizi segreti sovietici.

Lì Putin scherzò così: “Cari compagni, volevo dirvi che il gruppo di agenti infiltrati nel Governo ha svolto con successo la prima parte della missione”. E Nikolay Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo dopo una lunga carriera nel Kgb e nell’Fsb, pietroburghese come Putin, è riuscito a definire gli uomini dei servizi segreti “la nuova nobiltà” della Russia.

Amici e colleghi che si chiamano l’un l’altro nella scalata al vertice. Come succede dappertutto, con la differenza che qui si tratta di spie. Ma è proprio questa ordinarietà, questo grigiore che sa di carriera e di management, più che di avventura, a frenare la fantasia dei romanzieri. Certo, c’è la presunta ex amante di Putin diventata milionaria, qualche villone qua e là, certi conti off shore… Nulla che non sia capitato anche a molti industrialotti. Poco, troppo poco, per tenerci attaccati alla pagina a notte fonda.