The Feed, la Rete più cattiva che c’è

«Non ricordo che mia madre abbia mai cucinato per me. Nemmeno una volta», dice loro, e Danny e Graham lo ascoltano con interesse mentre infrange le sue stesse regole. Non parla mai del suo passato. E ora non parla sinceramente; o meglio, non rivela tutto. Chi era suo padre. Dove vivevano. La sua connessione con il Feed. Ma mentre parla, dalle sue parole emergono nuovi ricordi. «Avevamo dei cuochi. Frigoriferi walk-in con un sacco di cibo, in involucri di plastica. Mio fratello faceva il bullo con me. Con il Feed, non si è mai fermato. Ovunque fosse, ovunque mi nascondessi, poteva prendermi. Era implacabile. Lo spegnevo mentre mangiavo in modo da poter avere un po’ di pace, ma quando lo facevo mio padre si infuriava. Anche se la sua rabbia è stata il massimo dell’attenzione che mi abbia concesso. Ricordo di essermi seduto su uno sgabello alto in cucina in modo da poter raggiungere la superficie e mangiare le uova. Ricordo di essermi seduto lì a leggere ad alta voce ai cuochi dai libri. Libri veri. Anche questo lo faceva arrabbiare». (Nick Clark Windo, The Feed)

Quando, ormai sempre più spesso – e non so sinceramente dirvi se sia un bene o un male – capita di imbattersi in una serie tratta da un libro, la domanda ovvia è: meglio il libro o la sua trasposizione? Beh, in questo caso sono pari: intricato il libro (nel senso di una scrittura molto poco scorrevole, ma forse sono io e il mio inglese è un po’ arrugginito, chissà), intricata la serie, quelle che vorrebbero essere pause di riflessione filosofica tendono decisamente ad annoiare, ad appesantire. Però, però. C’è una cosa davvero buona in The Feed, ma per spiegare il mio punto di vista forse è il caso che vi parli sinceramente, anche se so che mi costerà un bel po’ di insulti (siamo abituati): non ho mai davvero amato Black Mirror, serie per la quale molti di voi sarebbero stati pronti a sacrifici umani. A parte il primo episodio in assoluto (The National Anthem), quello con Rory Kinnear che fa il Primo Ministro britannico – una delle cose più belle degli ultimi anni – ho sempre trovato che quella serie fosse sì brillante, ben scritta e meglio interpretata, ma parecchio scontata, per via del suo fondo moraleggiante, del terrore sottotraccia che esprime nei confronti del futuro e della tecnologia. Che abbiamo tutti, sia chiaro, però. Se è vero che il progresso tecnologico porta, per esempio, a nuove e più sofisticate armi da guerra, è anche vero che magari ci permette di avere uno o più vaccini capaci di fermare una pandemia in pochi mesi. Insomma, ho sempre pensato che in Black Mirror ci fosse quello scetticismo un po’ blasè, proprio degli intellettuali che temono di veder logorata dal futuro la loro, fino a quel momento indiscussa, posizione di maitres à penser. Inutile star qui a specificare che gli autori di Black Mirror si guardano bene dal fare polemichette da anziani contro il malvagio internet, però a me, che sono insofferente a queste cose, il brodo di coltura è sempre sembrato quello.

Ecco, questa è una cosa che in The Feed, Signore ti ringrazio, manca proprio del tutto. Tutti gli umani sono connessi tra loro in una grande rete (Orrore! Orrore!) e non hanno più nemmeno bisogno di ingombranti appendici: tutto funziona tra occhi e cervello. E, ovviamente, tutto è controllato da una grande compagnia. Inutile dire che non tutti sono d’accordo e che c’è un gruppo di persone, un manipolo d’eroi, che si unisce per combattere il futuro: ecco, questi si chiamano Resistenti. A un certo punto, ecco che succede quello che ci aspettiamo tutti dal primo minuto della prima puntata. Il sistema viene hackerato e cominciano a succedere cose strane. Cose brutte, molto brutte. E qui, per fortuna, non si scade nel come si stava meglio quando c’erano i calessi e i maniscalchi e le donne non votavano. Anzi, gira tutto come per fortuna non ci aspettiamo, pur tra inutili riflessioni degli sceneggiatori, e la serie vira un po’ sul giallo e (purtroppo molto poco) sulla falsariga di Dick e di Simmons. Intendiamoci, questo non toglie che abbia dei difetti, ma si difende eccome, ovviamente se vi piace il genere, perché questa è senza ombra di dubbio una serie di genere. Molto ben fatta, se posso permettermi: la connessione tra gli umani, il sistema, insomma la rete, è talmente ben strutturata da fare anche un po’ impressione per quanto ci sembra vicina e possibile, e gli effetti speciali sono davvero di primissimo ordine. E veniamo agli umani. Attori tutti molto bravi, decisamente sopra la media, con una coppia di protagonisti di classe. Lei è la stupenda Michelle Fairley (Suits, Gangs of London, ma soprattutto è la Catelyn Stark di Game of Thrones), mentre lui è il mio amatissimo David Thewlis, che si è relegato in ruoli di secondo piano nella speranza di liberarsi di me. The Feed, su Starz.