Sergio Leone, dal mito e ritorno

In principio fu racconto, poi la parola si trasformò in immagine. Perché Sergio Leone prima della realizzazione del film, ne amava la narrazione, completa di rumori, carrelli e suggestioni, per un pubblico sempre diverso di produttori, figli e amici.

Un aedo del contemporaneo che ha realizzato la grandezza del cinema italiano secondo Jean-Luc Godard: “La lingua di Ovidio e Virgilio, di Dante e Leopardi è affluita nelle immagini“. Un mondo teso a creare una “nuova mitologia”, nato dalla sacralità del western di John Ford, deluso dall’incontro con i veri americani, ormai più “figli della Coca–Cola“.

Clint Eastwood

È in questo respiro, oscillazione schopenhaueriana di piacere, che vive Sergio Leone, ma soprattutto è in questo limbo che cresce e sogna, impara e si stupisce tutta la migliore cinematografia mondiale successiva. Da Martin Scorsese a Steven Spielberg, da Frank Miller a Clint Eastwood, fino ad arrivare a Quentin Tarantino e Damien Chazelle.

Un imponente coro greco intervistato per Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America (regia di Francesco Zippel, Nastro d’Argento per “Documentario dell’Anno” 2023, disponibile su Sky). Sicuramente un omaggio, ma più una lettera d’amore e gratitudine.

Il regista Francesco Zippel

Come se ogni regista e storico, produttore e attore, sedendosi davanti alla macchina da presa non solo abbia raccontato il suo cinema, ma anche una parte di sé. Un senza di lui non sono sicuro che sarei qui.

Un uomo che viene dal mito e diventa mito. Così si potrebbe riassumere la vita di Sergio Leone. È Eneide, una conquista, il suo cinema in nome e per conto della frustrazione del padre Vincenzo, antifascista – in arte Roberto Roberti, regista del cinema muto –, è Odissea nel mondo con riscoperta e rinascita del western, è Iliade, la guerra per portare a termine C’era una volta in America.

Robert De Niro

Ma nella filmografia del padre della trilogia del dollaro, non c’è spazio per un unico genere: accanto all’epica che connota ogni opera, convivono e si mescolano dramma e commedia, “un genere tipicamente europeo, italiano per l’esattezza” come specifica Martin Scorsese, ma anche richiamo alla storia recente – cosa sono i soldati nel campo di prigionia dei nordisti ne Il buono, il brutto, il cattivo se non una trasposizione dell’inumanità di Auschwitz? – e cinema politico – la delusione nella rivoluzione e la fiducia nella dinamite di Giù la testa.

Ma il tratto distintivo, che ne favorisce l’universalità e gli dona il titolo di “ultimo regista del cinema muto“, è la sintesi della parola nelle immagini: Sergio ha lavorato anche molto sul silenzio” ricorda Ennio Morricone, e affida alla musica e ai rumori – come testimonia il rumorista Enzo Di Liberto con il sound mixer Fausto Ancillai – il potere di raccontare da dove viene e in che direzione sta andando il destino degli uomini che popolano lo schermo. “Così il film può diventare anche un momento di attesa“, come annota Gian Luca Farinelli, “fino a quel momento una cosa che apparteneva alla letteratura e non al cinema“.

Sergio Leone sul set di “C’era una volta in America”

E in questo grande arazzo, in cui il tempo si dilata e gli aneddoti si moltiplicano, Francesco Zippel è abile a tenere insieme ricordo personale e primo incontro, tecnica e poetica, immagine pubblica e privata.

Leone appare come un universo in espansione con ogni minuto che passa: se il documentario sa mostrare il racconto quasi intimo di Martin Scorsese che svela la nascita di una tecnica personale, suggerita dalla visione della trilogia del dollaro, con la stessa abilità rivela la grandezza delle esplosioni dei ponti costruiti per Il buono, il brutto e il cattivo, tra i sorrisi e le rughe di Clint Eastwood e Eli Wallach.

Perché come ripete lo stesso Leone, il cinema è uno spettacolo immenso, in cui confluiscono dimensioni psicologiche e storiche, ma custodisce anche la passione e la gioia dei bambini di intrattenersi per il racconto.

Sarà per questo che Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America anche reclutando vecchi collaboratori e registi, nella maggior parte dei casi ultraottantenni, in realtà costruisce una galleria di ritratti in cui ognuno ritorna, descrivendo e parlando di Leone, bambino e ragazzo, eterno rifugiato nella nostalgia di un tempo irrecuperabile, ma che continua difendere il suo tesoro del cimitero di Sad Hill: il gioco del racconto. Del resto “Secondo me il cinema è vita, e viceversa“.

È narrazione di passione, ambizione ed entusiasmo – escludendo la mortificazione per la versione americana di C’era una volta in America –  il film di Francesco Zippel.

Una sospensione dalla mediocrità del tempo presente che trascina lo spettatore in un vortice di amore per Sergio Leone, in cui tutti si professano ammiratori e la loro ambizione più grande è diventare un primissimo piano, una sergio, come la chiama Quentin Tarantino. Essere un singolo tassello del mosaico che cambiò il cinema per sempre.