La collezione del Masi tra la Svizzera e il mondo

Una collezione che parla di identità, ma anche di dialogo. Un costante scambio di esperienze artistiche tra le terre ticinesi e la vicina Italia, tra il mondo ticinese e il resto della Svizzera, tra la cultura regionale e i movimenti artistici d’oltralpe.

Di questo fermento culturale è esemplificativa la collezione permanente del Masi, il Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano. La collezione è esposta nella sede di Palazzo Reali in via Canova, ma anche in una mostra tematica, “Sentimento e Oss

è esposta nella sede di Palazzo Reali in via Canova, ma anche in una mostra tematica, Sentimento e Osservazione, che sarà presente fino all’inverno 2024 nella sede del Lac (Lugano Arte e Cultura). L’arco temporale coperto va dal 1400 fino ai giorni nostri e comprende opere di proprietà del Canton Ticino e della città di Lugano.

Il Ticino di Marianne von Werefkin

Una fondazione che unisce città e cantone

La storia del Masi è una storia recente, come racconta Cristina Sonderegger, curatrice senior del Museo d’Arte della Svizzera Italiana: “La città di Lugano aveva aperto un museo civico nel 1905, ma l’idea di incrementare la collezione con delle acquisizioni si fa strada più avanti. Nel 1987 nasce il museo cantonale d’arte con l’intento di costruire una collezione museale, che presenta testimonianze importanti di fine ottocento e inizio novecento. Nel 2015 nasce come fondazione il Masi, che continua ad acquisire opere per le collezioni del Cantone e della Città, anche con un atteggiamento di sostegno ai nuovi artisti”.

Tra paesaggi ed arte sacra

Nella sala di via Canova dedicata all’arte sacra si rende omaggio alla relazione tra il cinquecento lombardo e le chiese ticinesi, come nel caso di Giampietrino.

Non solo gli artisti italiani hanno lavorato nelle terre che sarebbero poi diventate svizzere, ma alcuni artisti svizzeri sono partiti da Lugano, Maroggia o Carona per far fare carriera a Roma.

Tra i protagonisti del Seicento romano troviamo infatti Pier Francesco Mola, Carlo Maderno e Giovanni Serodine, presenti con delle opere nella sala dedicata a luce e colore nel XVII secolo.

Questo è un capitolo della nostra storia artistica che si svolge al di fuori del territorio ticinese: qui infatti non esisteva la committenza della borghesia, in quanto il Ticino era un territorio povero e rurale, ma con l’ottocento le cose cambiano” spiega la curatrice.

Proprio nell’Ottocento il lembo di terra svizzera a sud delle Alpi diventa soggetto della pittura di paesaggio e nella sala dedicata a questo tema si spazia dai paesi alpini alle montagne, fino ad arrivare ai laghi. Di metà Ottocento è il dipinto Il lago dei Quattro Cantoni di Alexandre Calame, pittore originario del Canton Vaud.

I laghi e le montagne svizzere sono raffigurati all’inizio del secolo scorso dal ticinese Gioachino Galbusera, presente con delle opere nella collezione del Masi.

Il divisionismo e Umberto Boccioni

Significativa è la parte della collezione dedicata al Divisionismo, corrente pittorica che nasce in Francia e che in Italia è portata avanti da Segantini, che si distingue per l’accostamento dei colori direttamente sulla tela senza averli prima mescolati sulla tavolozza, in modo da ricercare una maggiore luminosità.

È un esponente di questa corrente artistica il ticinese Edoardo Berta. Il suo dipinto Acqua dorata del 1910 è un’esplosione di luce e colori in lilla, arancio e verde. “La collezione del Masi ha una presenza importante di Umberto Boccioni nella fase prefuturista: questi quadri sono stati donati dagli eredi di Gabriele Chiattone, uno stampatore di origine luganese che operava a Milano. È lui ad acquistare da Boccini le raffigurazioni della campagna lombarda, delle risaie e delle cascine dipinte nel 1908 con la tecnica del divisionismo” racconta Cristina Sonderegger.

Questa collezione legata a Boccioni rappresenta un unicum in ambito museale, in quanto le opere prefuturiste dell’artista appartengono perlopiù a collezioni private.

Anche la corrente pittorica del simbolismo è rappresentata nella collezione del Masi a Palazzo Reali, dove nella stessa sala gli artisti ticinesi sono in dialogo con i colleghi lombardi.

Il simbolismo è una corrente di fine ottocento che mette in scena sulla tela emozioni e stati d’animo con un’idea narrativa dell’immagine, che diventa un espediente per raccontare altro” spiega la curatrice.

Spesso prendono spunto dalla letteratura, come nel caso del trittico Le maghe persiane (1904) del ticinese Adolfo Ferragutti Visconti che si ispira al testo Le mille e una notte.

Arte in Ticino tra Ottocento e Novecento

Per ammirare i capolavori del Novecento che fanno parte della collezione Masi, e non solo, occorre spostarsi presso la sede del Lac in piazza Bernardino Luini, dove si trova l’esposizione Sentimento e Osservazione. Arte in Ticino 1850 – 1950.

Qui non troviamo solamente artisti locali, come il locarnese Filippo Franzoni, ma anche artisti stranieri che hanno vissuto nella Svizzera italiana una parte importante del proprio percorso.

Autoritratto con paesaggio ticinese di Hermann Scherer

Questi artisti provenienti da Oltralpe mettono la comunità artistica locale di fronte a una scelta: ancorarsi alla tradizione italiana più classica o seguire le influenze sperimentali che provengono dal nord Europa o ancora lavorare su una maggiore specificità ticinese. Sere sull’Alpe (1906) di Giovanni Giacometti testimonia un percorso artistico che ha accolto influenze internazionali, elaborando un linguaggio proprio.

A proposito di dialogo tra artisti stranieri e Canton Ticino è significativa l’esperienza di Alexey von Jawlensky, a cui è dedicata una sezione monografica curata da Cristina Sonderegger e incastonata come una gemma preziosa all’interno dell’esposizione sull’arte in Ticino.

Jawlenky ad Ascona

Alexey Von Jawlensky ad Ascona …i tre anni più interessanti della vita, visitabile fino al primo agosto, racconta della ricchezza artistica e culturale che ha caratterizzato la regione a sud delle alpi in seguito ai grandi eventi del novecento.

Jawlensky infatti è costretto ad abbandonare velocemente Monaco nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, a causa delle sue origini russe. Si stabilisce in Svizzera, dapprima a Saint-Prex dove incontra artisti svizzeri del calibro di Ferdinand Hodler e Cuno Amies (presenti in collezione con alcuni dipinti), per poi trasferirsi a Zurigo, dove frequenta gli esponenti del movimento Dada.

Qui purtroppo si ammala di una terribile influenza, come l’artista stesso ricorda nelle sue memorie: “Nel 1917 a Zurigo scoppiò una gravissima influenza e io fui uno dei primi casi. Non riuscii a riprendermi per diversi mesi e i medici mi mandarono a sud, ad Ascona”.

Nei primi di aprile del 1918 ci trasferimmo tutti ad Ascona” continua l’artista nelle sue memorie “I tre anni successivi ad Ascona furono i più interessanti della mia vita, poiché li la natura è cosi rigogliosa e misteriosa da costringerti a vivere con essa, offrendoti una meravigliosa armonia di giorno e qualcosa di molto inquietante di notte”.

Jawlensky rimane fino al 1921 ad Ascona, prima di fare rientro in Germania, e nel suo periodo ticinese dà vita ad una produzione artistica ricchissima, che comprende parti delle serie delle Variazioni, le Teste Mistiche, i Volti del Salvatore e le teste Astratte. “Avevo compreso che la grande arte doveva essere dipinta unicamente con un sentimento religioso. E questo lo potevo trasmettere solo al volto umano. Avevo capito che l’artista deve dire nella sua arte, tramite forme e colori, ciò che è divino in lui”.

La collezione permanente del Masi, attraverso l’arte, offre uno sguardo sul carattere cosmopolita del Canton Ticino, sempre in dialogo con le terre confinanti e profondamente cosciente della propria identità.