Manhunt: Deadly Games. L’altra faccia di Richard Jewell

Kathy Scruggs entrò a far parte dell’Atlanta Journal-Constitution nel dicembre 1986 con il sogno di diventare una “giornalista della polizia”.  Voleva imitare la carriera di Edna Buchanan, la reporter poliziotta del Miami Herald che sfornava 230 articoli sanguinosi, scioccanti e, a volte, empatici all’anno. (…) Scruggs divenne una frequentatrice abituale della Manuel’s Tavern, un bar di second’ordine popolare tra i giornalisti, i politici locali e, soprattutto, la polizia. Il giovedì, noto come “the cop night”, accostò la macchina al parcheggio, infilò la mano nella borsa oltre la pistola e afferrò una bottiglia di profumo, versandone alcune gocce. Dopo aver ordinato un Johnnie Walker Red, o due o tre, Scruggs insisteva con la polizia per avere i dettagli sull’ultimo omicidio, rifiutandosi di accettare “no comment” come risposta. «Cazzo, dammi qualcosa che posso usare sul giornale», blandiva gli sbirri, aggiungendo un mellifluo sorriso per addolcire la richiesta. La polizia andava pazza per lei.

(The Suspect: An Olympic Bombing, the FBI, the Media, and Richard Jewell, the Man Caught in the Middle, di Kent Alexander e Kevin Salwen, Abrams Press)

Vi dico la verità: ho visto Richard Jewell, di Clint Eastwood, almeno quattro volte e ho pianto ogni singola volta. Un po’ perché -oggettivamente- la storia della guardia giurata accusata di essere un bombarolo è triste assai, e molto perché considero Clint Eastwood il più grande regista vivente, l’unico in grado di commuovermi sempre a fondo (molti di voi non saranno d’accordo, lo so, ma non è colpa mia se, come diceva Gene Hackman, vi piacciono i film che guardarli è come guardare la vernice che si asciuga). Potete quindi immaginare che mi sono approcciato alla serie di questa settimana, Manhunt: Deadly Games, aspettandomi una porcheria. E invece, per fortuna, avevo torto: la serie è davvero molto bella e soprattutto gli autori non sono caduti nel trappolone di tentare di rifare (come se fosse possibile, non scherziamo, su) il film di Eastwood. Certo, la storia quella è, e nella serie viene raccontata come si deve, ma gli sceneggiatori si muovono principalmente su due altri fronti, narrativamente molto diversi. Il primo è la caccia al vero bombarolo, Eric Rudolph, poi catturato a Murphy, nella Carolina del Nord, mentre, inseguito dalla polizia e dall’FBI, rovistava nella spazzatura in cerca di cibo. Questa parte della storia si snoda tra gli imbrogli dei  G-Men, le intuizioni degli artificieri (in questo caso i personaggi sono completamente inventati, ma la storia regge), che dall’inizio scagionano Jewell, e il racconto delle milizie armate sugli Appalachi. E qui non siamo al livello di Elmore Leonard ma ci andiamo parecchio vicini, grazie soprattutto all’interpretazione di Brad William Henke (già bravissimo Tom Cullen in The Stand) nei panni di Big “fuck the feds” John, il capo dei miliziani.

Il secondo fronte narrativo racconta la guerra di Richard Jewell (un Cameron Britton in formissima, come ai tempi del suo Edmund Kemper in Mindhunter) contro la stampa, che lo dichiara da subito colpevole, un aspetto che il film di Eastwood aveva soltanto accennato, per motivi di tempo, ovviamente. Ecco, la serie racconta come i media si siano immediatamente scagliati contro Jewell, come bestie affamate. In sostanza, l’FBI accusava Jewell pur non avendo neanche uno straccio di prova, secondo i voleri di Washington, e giornali e Tv lo proclamavano colpevole. La serie approfitta del fatto dia vere alcune ore a disposizione per approfondire la figura di Kathy Scruggs, la spregiudicata (è un eufemismo, sostituitelo con la parolaccia più acconcia) cronista del giornale di Atlanta che, con l’equivalente giornalistico della tattica militare denominata Shock and Awe (“colpisci e terrorizza”) consegna il povero, incolpevole Jewell al boia più feroce: l’opinione pubblica. A interpretare questa spregiudicata (avrete sicuramente un’altra parolaccia di riserva, non fatevi pregare e usatela) reporter è Carla Gugino, che è sicuramente un’attrice famosa (Watchmen, American gangster, Sin City) ma altrettanto sicuramente non è una grande attrice. E invece qui è davvero da vedere. E’ talmente odiosa (non ci credo che avete finito le parolacce) che ti viene voglia di tirare qualcosa alla tv: segno che la sua Kathy ha davvero impressionato. O almeno, ha impressionato me. Vi garantisco che dopo averla vista montare il caso giornalistico contro Jewell guarderete le edicole con un misto di sospetto e terrore. Certo, Sbatti il mostro in prima pagina (Marco Bellocchio, 1972) lo abbiamo visto tutti, ma Manhunt: Deadly Games è un eccellente promemoria. Su Starz Play.