Quando Oriana Fallaci indagava la Luna

Non dimentichiamolo: la Terra può morire, può esplodere, il Sole può spengersi, si spengerà. E se il Sole muore, se la Terra muore, se la nostra razza muore con la Terra e col Sole, allora anche ciò che abbiamo fatto fino a quel momento muore. E muore Omero, e muore Michelangelo, e muore Galileo, e muore Leonardo, e muore Shakespeare, e muore Einstein, e muoiono tutti coloro che non sono morti perché noi viviamo, perché noi li pensiamo, perché noi li portiamo dentro e addosso. E allora ogni cosa, ogni ricordo, precipita nel buio con noi. Salviamoli, dunque, salviamoci. Prepariamoci a scappare, scappiamo per continuare la vita su altri pianeti, per ricostruire su altri pianeti le nostre città: non saremo a lungo terrestri!“.

Se i viaggi nello spazio vi affascinano, se seguite con curiosità le notizie che arrivano dalla Nasa e i lanci che portano i primi turisti nello spazio, e vi piacerebbe scoprire che cosa c’è dietro e magari anche rivivere come se fosse oggi il fermento che portò l’uomo a mettere piede sulla luna il 20 luglio del 1969, il libro inchiesta di Oriana Fallaci, Se il sole muore, è un viaggio interessante nell’eterno sogno dell’uomo di conquistare lo spazio.

Scritto nel 1965, è il resoconto di un anno trascorso nella realtà americana della metà degli Anni Sessanta da parte di una giornalista che, partita da un’Italia ancora alle prese con le cicatrici della seconda guerra mondiale, atterra in una società post bomba atomica, dove l’industria bellica è stata convertita alle missioni spaziali, le case sono piene di macchine automatiche per lavare, asciugare e cucinare e i fili d’erba e i fiori dei prati sono tutti di plastica.

Un viaggio vissuto in prima persona in un futuro che è ormai passato da un pezzo, ma che è sempre attuale, anche per le domande che pone e alle quali tenta di rispondere.

Il libro, infatti, è anche un diario intimo, privato, un dialogo costante tra la scrittrice e il padre morto, un uomo d’altri tempi, talmente attaccato alla Terra che si infastidisce alla sola idea delle missioni spaziali: “Andar sulla Luna, a che serve. Gli uomini avranno sempre gli stessi problemi, sulla Terra come sulla Luna; saranno sempre malati e cattivi, sulla Terra come sulla Luna. E poi mi si dice che sulla Luna non vi sono mari né fiumi né pesci, non vi sono boschi né campi né uccelli: non potrei nemmeno andarci a caccia o a pescare“.

Da una parte ero io, la bambina che crede alle stelle, e dall’altra eri tu, l’adulto che crede alla Terra“, scrive Oriana Fallaci che, pagina dopo pagina, intervista dopo intervista, tenta di convincere suo padre, e soprattutto se stessa, che il progresso non si può fermare e il futuro è già qui.

E allora ha un senso conoscerle, scoprirle le persone che questo progresso lo portano avanti, e anche quelle che lo hanno immaginato prima che accadesse.

A colloquio con Ray Bradbury, il più famoso scrittore americano di fantascienza, l’autore di Fahrenheit 451, il libro ambientato negli allora lontani giorni nostri, Oriana Fallaci scopre perché per l’uomo è così importante viaggiare nello spazio: “Andare sulla Luna non è come varcare un oceano di acqua: è molto, molto più difficile perché non basta arrivarci, una volta arrivati dobbiamo viverci e noi non siamo per vivere su altri pianeti. Noi siamo costruiti per vivere sulla Terra. Noi moriamo senza la Terra, senza il suo ossigeno, la sua acqua. E allora, perché andare? Perché?“. “Per la stessa ragione per cui si mettono al mondo figli. Perché abbiamo paura della morte, del buio, e vogliamo vedere la nostra immagine ripetuta e immortale”, le risponde Bradbury.

Quindi, Fallaci incontra gli astronauti Deke Slayton, John Gleen, Alan Shepard, Gordon Cooper, Roger Chaffee, Richard Gordon, Neil Armstrong, Alan Bean, Edward White, Eugene Cernam, Jim Lovell, Theodore Freeman e Pete Conrad. E, per ciascuno di loro, indaga le ragioni che li hanno spinti a rischiare la vita per andar sulla Luna, quali sensazioni li affliggano durante il volo, quali emozioni li accompagnino durante le esercitazioni.

Dopo aver ragionato sul fatto che sono tutti sposati, hanno in media trentacinque anni, ma sembrano tutti molto più grandi, va a conoscere le loro famiglie, le loro mogli, porta alla luce i sentimenti più intimi, le paure, le fatiche e i sogni.

Assiste alle esercitazioni durissime, rimane impressionata per la pressione non solo fisica, ma soprattutto mentale, a cui sono sottoposti. Vede con i propri occhi un astronauta entrare in una sorta di centrifuga e stare male. Esplora i luoghi dai quali partiranno i razzi, scopre le micro cabine di volo degli astronauti, gli alimenti e altro ancora, e va alla ricerca del barone ingegnere Wernher von Braun, una delle figure di spicco nello sviluppo della missilistica nella Germania nazista, che ora vive negli Stati Uniti ed è una colonna portante del programma spaziale e le parla già delle prime missioni su Marte che progetta a partire dal 1990.

Trentadue anni dopo, il pianeta rosso non è ancora stato calpestato dall’uomo. Ma il sogno è ancora vivo. “E se la Terra muore, e se il Sole muore, noi vivremo lassù. Costi quello che costi. Un albero, mille alberi, tutti gli alberi che la vita ci ha dato“.