Storia della libreria che stampò Joyce prima di venderlo

La storia della libreria più famosa di Parigi è divertente, intrigante e di grande ispirazione.

A raccontarcela è la proprietaria stessa, Sylvia Beach, in un libro del 1959 che porta il nome della libreria, Shakespeare and Company, edito in Italia nel 2018 da Neri Pozza.

L’americana di Princeton ha messo in piedi un vero e proprio centro culturale, chiamarlo solo libreria sarebbe riduttivo, nella Parigi degli anni Venti, quando negli Stati Uniti c’erano la censura e il proibizionismo, mentre sulla Rive Gauche intellettuali, scrittori e artisti godevano di maggiore libertà di espressione.

Si ritrovavano tutti lì, a fare la spola in rue de l’Odéon tra il numero 12, dove si trovava la libreria americana a Parigi di Sylvia Beach, e il numero 7, dove si trovava la libreria francese della francesissima Adrienne Monnier, che ha condiviso con Sylvia la sua vita parigina e il suo entusiasmo per la letteratura americana.

La nascita di una libreria leggendaria

Shakespeare and Company è approdata a Parigi per questioni di budget. Sylvia Beach infatti sognava di aprire una libreria francese a New York per aiutare gli scrittori francesi che ammirava a farsi conoscere negli Stati Uniti, ma i risparmi che sua madre le aveva messo a disposizione per tentare l’impresa non era sufficienti e così …

Racconta: “La libreria francese in America s’era trasformata sotto i miei occhi in una libreria americana a Parigi. In Francia, con il capitale a mia disposizione, avrei potuto fare molte più cose che a New York; gli affitti erano più bassi, e più basso era, a quei tempi, anche il costo della vita”.

L’insegna con refuso

Inizialmente Shakespeare and Company apre i battenti in rue Dupuyetren il 19 novembre 1919, per poi trasferirsi poco dopo in rue de l’Odéon.

Sull’insegna viene dipinto per sbaglio “Bookhop” al posto di “Bookshop”, ma la proprietaria non correggerà mai il refuso (in pieno spirito joyciano ama i neologismi).

Ben presto si accorge che gli scrittori che frequentano la sua libreria non sono in grado di comprare i libri (a parte Hemingway che definiva il suo miglior cliente) e per questo, sul modello della libreria di Adrianne Monnier, crea una biblioteca circolante: pagando un abbonamento è possibile prendere in prestito i libri.

I clienti (paganti e non)

Nel libro di Sylvia Beach sono descritti con precisione e simpatia tutti i frequentatori della Shakespeare and Company, da Ezra Pound che aveva l’hobby della falegnameria a Valery Larbaud, che amava i soldatini di piombo e che portò in dono alla libreria un piccolo esercito capitanato da George Washington.

La “ghenga” della Rive Gauche, come la chiamava Sylvia, aveva l’onore di avere per ritrattista ufficiale Man Ray e tra i suoi membri Scott Fitzgerald, Robert McAlmon, Léon Paul Fargue, André Gide, Paul Valery, Ernest Hemigway e moltissimi altri scrittori e artisti.

La pubblicazione dell’Ulysses di James Joyce

Uno dei motivi per cui Shakespeare and Company e la sua proprietaria divennero famosi fu la pubblicazione dell’Ulysses di James Joyce. “Sia quella prima volta, sia in tutti gli incontri successivi, ebbi sempre coscienza di essere di fronte a un genio, eppure non conoscevo nessuno con cui fosse tanto facile parlare”: così Sylvia descrive il suo primo incontro con Joyce.

Tra le pagine si trovano tanti elogi dello scrittore irlandese, ma non manca la schietta ammissione delle difficoltà di avere a che fare con lui. “Quando curavo gli interessi di Joyce mi dimostravo avidissima, e mi ero fatta la fama di un’affarista spietata. Nessuno può ignorare la verità: Shakespeare and Company aveva la facoltà di trattare per procura tutti gli affari di Joyce, ma non ne ricavava alcun utile: servizio gratis”.

Un classico stampato in mille copie

L’Ulysses stava uscendo a puntate sulla rivista Little Review, ma ben presto iniziarono a piovere in redazione le proteste degli abbonati, che non ritenevano l’Ulysses un testo adatto “per un periodico che fin allora aveva avuto il suo posto sul tavolino del soggiorno, insieme ai libri e ai giornali dei figlioli”.

Anche i tipografi non erano entusiasti di dare alle stampe un romanzo bloccato dalla censura, temendo le conseguenze penali. E così Sylvia Beach corse in aiuto di un James Joyce sconsolato dal naufragio del suo Ulysses, trovando uno stampatore non solo disposto a correre il rischio di dare alle stampe il testo, ma anche a essere pagato una volta vendute le copie.

Tra molte peripezie e correzioni di bozze che equivalevano alla riscrittura del libro, l’Ulysses vide la luce il 2 febbraio 1922, in 1000 copie numerate con copertina blu greco.

Lo stratagemma di Hemingway

Come racconta la Beach, anche con piglio spassoso e rocambolesco, riuscire a stampare il libro fu in realtà il primo di molti ostacoli.

Le copie giunte in America infatti furono confiscate e una volta diffuse venivano stampate illegalmente da editori non autorizzati. Fu grazie a uno stratagemma ideato da Hemingway che le prime copie dell’Ulysses entrarono di nascosto negli Stati Uniti, due copie alla volta.

Shakespeare and Company curò le edizioni anche di altri lavori di Joyce, da Pomes Penyeach a Finnegans Wake (per il quale la proprietaria della libreria americana di Parigi si fece sei mesi in campo di concentramento durante la seconda guerra mondiale), fino a quando Joyce passò a un altro editore.