The Serpent, il lacchè di Lucifero

Ovviamente anche Marie-Andrée ci pensò su quando i due uomini si presentarono con una vivace e giovanissima ragazza americana single, ma subito dopo decise che non rappresentava una seria rivale per l’affetto di Charles. A lui non piacevano affatto gli hippy, gliel’aveva detto molte volte, e questa nuova arrivata della California con i jeans e il maglione logori non sembrava affatto il tipo di Charles. Secondo lei, le carte che Jennie poteva giocarsi erano la sua giovinezza – non poteva avere più di vent’anni – e un selvaggio abbandono.

«Non lo so», rispose Marie-Andrée. «Chi può sapere dove andranno e cosa faranno degli hippy?»

(…)

Il corpo nudo di una giovane donna bianca venne trovato quella stessa mattina disteso sulla riva di un torrente vicino a una spiaggia a sud di Pattaya. L’ipotesi della polizia, come nel caso di Jennie Bolliver, era che si trattasse di un altro turista annegato. Ci sarebbero voluti molti mesi prima che venisse aperta un’indagine e scoperta l’identità della vittima, e finalmente un’autopsia che avrebbe rivelato che Charmayne Carrou era stata strangolata. Le dita che le avevano stretto la gola erano così forti e violente che le ossa del collo si erano spezzate come ramoscelli.

(Thomas Thompson, Serpentine: The True Story of Charles Sobhraj’s Reign of Terror from Europe to South Asia, Open Road Media)

The Serpent, la serie di questa settimana, è davvero inquietante. Ammetto di aver cominciato a guardarla dopo un paio di delusioni clamorose, e magari all’inizio non ho prestato la dovuta attenzione, ma questo non spiega il senso di inquietudine (lo so che esistono i sinonimi, ma inquietudine è l’unico termine che calza davvero a pennello). La storia di Charles Sobhraj, definito sbrigativamente serial killer, mi lasciava qualcosa di indefinito, e solo alla fine sono riuscito a capire perché. La prima cosa che ti lascia interdetto è l’attore che interpreta Sobhraj, Tahar Rahim. Che fosse un attore di grande livello lo aveva già dimostrato nel Profeta (Jacques Audiard, 2009): che fosse un attore capace di annullarsi, francamente, non me lo aspettavo, eppure è esattamente quello che fa. Prima di lui, lo avevo visto fare soltanto a Brad Pitt in Burn after reading (Joel e Ethan Coen, 2008). Lì Pitt interpreta un idiota, e se ci fate caso l’attore Brad Pitt annulla completamente l’uomo Brad Pitt: gli si spegne proprio la luce degli occhi, e diventa un imbecille totale. È quello che fa Rahim interpretando Sobhraj. Riesce, praticamente per sette puntate su otto, a non muovere un muscolo della faccia che è uno, e immagino che per un attore (bravo, ai cani riesce perfettamente) non sia affatto facile. Certo è che la totale impenetrabilità del volto di Rahim non riesce a farlo qualificare come serial killer. O meglio, non come i serial killer dello schermo ai quali siamo stati abituati. Il fatto è che se non vediamo espressioni sul suo volto ci viene più facile concentraci sulle motivazioni dei suoi crimini: cioè, se non riusciamo a leggergli la cattiveria sul volto, allora capiamo (o almeno è quello che è sembrato di capire a me) che Sobhraj non uccide per uccidere, come appunto fanno quelli che chiamiamo, per convenzione, serial killer: uccide per denaro.

E perché, direbbe Massimo Troisi, i soldi non sono un motivo? Lo sono eccome. Il fatto è che l’interpretazione di Rahim porta il personaggio di Sobhraj nei suoi esatti limiti: il Serpente non è il Male, ma solo un suo lacchè. Per quanto si adoperi, gli manca l’investitura di Lucifero. È un fetente, un delinquente e un assassino. Ma non è interessante, non vale la pena, una volta messo dietro le sbarre, interessarsi di lui. In questo la serie è bellissima, nel rimettere, come diceva qualcuno, la chiesa al centro del paese. Aiuta molto un grande cast e una regia che, sebbene permetta agli sceneggiatori (bravi, sia chiaro) di indulgere un po’ troppo nei flashback, mantiene un rigore costante come la mancanza di espressività del volto del protagonista. Bravissimo soprattutto Billy Howle nei panni di Herman Knippenberg, l’oscuro funzionario dell’ambasciata olandese che si impunta, rischiando la carriera, e riesce alla fine a risultare determinante nella cattura di Sobhraj. Se vi aspettate altro, The Serpent non è per voi. Se la prendete per quello che è, è davvero bella e interessante e ve la consiglio senz’altro. Su Netflix.